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2 NOVEMBRE

Commemorare i defunti, pregare per la vita eterna

La Chiesa nella sua pedagogia liturgica, con la commemorazione dei fedeli defunti ci vuole ricordare la verità sull’uomo nelle sue due fasi: la realtà viatoria (la vita terrena) e la vita oltre la morte.

Ecclesia 02_11_2013
Resurrezione dei morti

La commemorazione dei fedeli defunti è un giorno di preghiera e di riflessione per tutti i cristiani.

Come festa liturgica e quindi come giorno del suffragio e del ricordo la si deve alla spiritualità dell’Abate di Cluny, Odilone (961-1049), che ottenne poi dal Papa la diffusione di questo giorno per tutto il rito latino. Nel 998 Odilone dispose che in tutti i monasteri benedettini che si richiamavano alla regola di Cluny il 2 novembre, dopo i vespri di Ognissanti, si celebrasse la memoria dei defunti e si pregasse per loro.

Ricordare e pregare per i propri cari con i quali si è fatto un tratto di strada della nostra vita è, oltre ad un gesto di riconoscente e vera amicizia, anche un momento per riflettere sull’importanza e sulla caducità dell’esistenza terrena. È più che mai necessario fermarsi a riflettere sul dono della vita e della fede in questo clima culturale dove l’effimero si è annidato assieme al vissuto dei più ed ha minato il desiderio di senso che rende qualificante il quotidiano ed ogni stagione del vivere.

La Chiesa nella sua pedagogia liturgica, con la commemorazione dei fedeli defunti ci vuole ricordare la verità sull’uomo nelle sue due fasi: la realtà viatoria (la vita terrena) e la vita oltre la morte. L’escatologia - senza della quale, dice il teologo riformato Barth, non ha senso il cristianesimo - dà il giusto valore a tutto ciò che l’uomo è, opera e spera. Già i filosofi antichi, come Aristotele e Platone, richiamavano il valore dell’immortalità dell’anima, ma non erano giunti alla considerazione del fatto proprio della rivelazione cristiana, che non solo l’anima del soggetto razionale vive oltre la morte, ma anche l’uomo, anima-corpo, ha il suo futuro di vita oltre la morte.

Il Prefazio I dei Defunti del rito Romano, con verità, ci ricorda che “la vita non ci è tolta, ma trasformata”. Infatti è il nostro corpo mortale che nella parusia di Cristo, l’evento che concluderà la fase caduca della realtà terrigena nella gloria di Cristo, risorgerà in una dimensione “altra” ma vera e meritoria.

Sarà importante questo nuovo stato di vita e costituirà la nostra eterna felicità se saremo tra coloro ai quali Cristo glorioso dirà: “venite benedetti dal Padre mio”. Per essere “accreditati” tra coloro che vivranno di questa beatitudine, l’uomo deve scegliere Cristo e vivere alla sua sequela durante la vita terrena, realizzando per sé il comando dell’amore. Coloro che non hanno conosciuto Cristo, avranno dovuto seguire quei valori naturali che la coscienza retta ha loro suggerito per ottenere una visione di luce. Questo però è un sentiero più arduo, in quanto l’umanità è stata impoverita esistenzialmente dal vulnus oggettivo della colpa originale. Il cristiano è colui che, avendo aderito a Cristo con il battesimo, e vivendo un’autentica comunione con Lui attraverso la grazia che i sacramenti donano al fedele, può rispondere adeguatamente al piano salvifico che lo rende capace non di compiere il bene, ma di agire in nome di Cristo e a favore dell’umanità. La nostra vita terrena – come dice Paolo VI – “meravigliosa e drammatica insieme”, è il campo di prova dove siamo chiamati a riconoscere Cristo e a seguirlo. Se così sarà, anche Lui riconoscerà noi nell’ultimo giorno ed entreremo a partecipare di quella visione beatifica che è il nostro “possedere” Dio per l’eternità.