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FARC

Colombia, la giustizia è sacrificata e la pace è lontana

L'accordo di pace definitivo fra il governo colombiano e il movimento di guerriglia marxista delle Farc, per ora, non tiene: venerdì sono scoppiati nuovi combattimenti. Il problema è nei termini dell'accordo, troppo ottimista sulle intenzioni di un gruppo terrorista che uccide da mezzo secolo.

Esteri 12_07_2016
Farc

Il governo colombiano ha confermato che è avvenuto un nuovo confronto violento tra l'esercito e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) venerdì scorso. Diversi guerriglieri sono stati feriti in una zona rurale del Dipartimento Meta. Sarebbe il primo conflitto armato dopo la stretta di mano tra il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il capo delle Farc Rodrigo Londoño all’Avana, lo scorso 23 giugno. Evidente qualcosa va storto negli accordi bilaterali e il “definitivo” cessate il fuoco tra la Colombia e le Farc.

“Fine del conflitto” è il nome dell’accordo che intende porre termine alle ostilità che da oltre mezzo secolo hanno provocato più di 220mila vittime. E’ bene avvicinare la lente di ingrandimento al documento che contiene i primi tre accordi (attesa ancora la firma di quello finale) che, siglato in casa Castro, prevede l’abbandono delle armi da parte del più violento gruppo armato dell’America Latina. La Nuova BQ presenta un riassunto in pillole.

Primo atto: il definitivo cessate il fuoco e la consegna di tutto il materiale bellico delle Farc, per il loro inserimento nella vita civile. È una missione che appare quasi impossibile se consideriamo che ci sono almeno 7.200 guerriglieri. Per raggiungere questo obiettivo, “il governo nazionale e le Farc hanno deciso di istituire 23 zone transitorie ‘veredales’ e 8 accampamenti”, si legge nel documento. Queste zone sono dei territori di normalizzazione dove risiederanno temporaneamente i guerriglieri e il cui monitoraggio sarà responsabilità di una commissione tripartita, integrata da rappresentanti del governo (polizia), delle FARC (non armata) e di una missione politica delle Nazioni Unite (Onu), composta principalmente da osservatori della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac).

Le “zone veredales” appaiono come un paradiso utopico, se in soli 180 giorni mirano a cancellare i crimini e avviare i violenti alla vita normale. Una volta firmato l’accordo definitivo, i guerriglieri dovranno recarsi in queste zone, deponendo armi e divise. I civili non avranno accesso all’area, delimitata da un perimetro di sicurezza di un chilometro, dove non potranno circolare funzionari del governo o membri del gruppo guerrigliero. Dopo 180 giorni, l’ONU dovrà certificare il disarmo totale e le zone transitorie cesseranno di esistere. Poi, in teoria, i guerriglieri vivranno con il resto della popolazione colombiana, e con quelle armi saranno costruiti tre monumenti (a New York, sotto la sede dell’ONU, a Bogotá e a L’Avana). 

Secondo atto: garanzie di sicurezza per i guerriglieri disarmati. L'accordo prevede diversi punti che impegnano lo Stato a combattere quei gruppi considerati successori dei paramilitari, smobilitati dieci anni fa, che potrebbero aggredire i guerriglieri una volta disarmati. Ma non solo, “sarà creato un organismo congiunto di protezione per i membri delle Farc, in cui ci saranno guerriglieri armati che lavoreranno a stretto contatto con le forze di sicurezza”, ha affermato uno dei funzionari governativi che porta avanti la trattativa, il generale Oscar Naranjo, alla BBC. Ma qualcuno ha pensato alla sicurezza delle vittime? 

Terzo atto: referendum finale. “Il governo della Colombia e le Farc, per risolvere le differenze emerse (sul referendum), hanno deciso di accettare come formula di convergenza la decisione della Corte Costituzionale”, stabilisce l’accordo. Intanto si attende l’intesa finale nei prossimi giorni, forse entro il mese di luglio. Quindi i colombiani non sanno ancora se potranno partecipare a un referendum per votare l’accettazione degli accordi di “Pace”. 

“Ciò che viene dopo è più difficile”. Lo ha affermato Ingrid Betancourt, una politica colombiana che è stata sequestrata per più di sei anni dalle Farc. La Colombia è l’unico paese delle Americhe dove ancora prosegue una guerra civile per motivi politici, che in 52 anni ha lasciato più di sei milioni di colombiani sfollati e in povertà, 35 mila sequestrati e 220mila morti. Quelli che adesso vivono di estorsioni, sparatorie e assalti, come se niente fosse, dovranno integrarsi con una popolazione che tante volte hanno massacrato. 

La giustizia può essere sacrificata in nome della pace? Secondo l’ex presidente della Colombia, Alvaro Uribe, questi accordi “concedono ai narco-terroristi impunità e legittimazione politica; questi sono responsabili di crimini contro l’umanità, si tratta del più grande cartello della cocaina del mondo, responsabile di migliaia di rapimenti, omicidi, autobombe. E non andranno in prigione nemmeno un giorno”. Ecco, immaginiamo cosa potrebbe accadere in Europa se un giorno, in nome della pace, dimenticassimo i crimini dello Stato Islamico per reintegrare i suoi carnefici nel mondo civile. Il conflitto della Colombia non è ancora giunto al termine, oggi il dibattito è aperto più che mai.