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CONGRESSO DEL PCC

Cina, approccio post-sovietico per le religioni

Comunque vadano i colloqui fra Cina e Vaticano, le linee tracciate dal presidente Xi Jinping nel 19mo congresso del Partito Comunista non promettono nulla di buono. Il "nuovo approccio" non viene specificato, ma ribadisce i principi di "sinicizzazione" della religione. Dunque è implicito il controllo del Partito sulla nomina dei vescovi.

Libertà religiosa 20_10_2017
Xi Jinping a congresso

Comunque vadano i colloqui fra Cina e Vaticano, le linee tracciate dal presidente Xi Jinping nel 19mo congresso del Partito Comunista non promettono nulla di buono.

Le immagini del solenne evento del partito unico cinese non mostrano affatto quel paese moderno e “capitalista” come spesso ci viene descritto da commentatori più o meno entusiasti. Vediamo piuttosto un residuo del passato sovietico ancora in vita. Fossero in bianco e nero, quelle scene potrebbero essere scambiate per i raduni politici di Stalin, Chrushev, Mao: ranghi disciplinati di burocrati, membri del partito e militari, intenti a prendere appunti e ad applaudire all’unisono all’ombra di gigantesche bandiere rosse, falci e martelli. Vecchi anche i toni e i contenuti del discorso del presidente, pur se ricoperti da una leggera patina di modernità. Xi Jinping ha elogiato il sistema “un paese due sistemi” che regola i rapporti con Hong Kong e Macao. I fatti dicono che questo sistema sta subendo una rapida erosione e che ormai, anche per l’ex colonia britannica Hong Kong, si vede più che altro un unico sistema, sempre più dominato dalla politica di Pechino, con un’ingerenza nelle istituzioni e anche nella libertà di espressione sempre più evidente. Quanto a Taiwan, la sua indipendenza di fatto, mai riconosciuta dal regime, è protetta solo dalle armi statunitensi. Ma, Xi assicura: “Abbiamo forze sufficienti per liquidare ogni velleità indipendentista”. A questo proposito, grande importanza viene data al potenziamento del “più grande esercito del mondo”, che dovrà diventare anche “il migliore del mondo” dal punto di vista qualitativo. La Cina del futuro, a suo dire, si occuperà anche di ambiente: il presidente tesse le lodi del piano di riforestazione e di tutela dell’aria e del clima. E anche qui ne parla in toni da vetero comunismo, quelli di una pianificazione centrale, rigida, verso obiettivi fissati nel prossimo futuro.

Se i temi principali sono questi, anche le religioni sono affrontate alla solita vecchia maniera. Fra i 2280 rappresentanti del Partito, i 74 ospiti speciali invitati all’incontro includevano anche i leader di quattro religioni riconosciute. Fra questi vi erano i vescovi Giovanni Fang Xingyao di Linyi (Shandong) e mons. Giuseppe Ma Yinglin di Kunming (Yunnan), rispettivamente presidenti dell’Associazione patriottica e del Consiglio dei vescovi cinesi. Entrambe le organizzazioni non sono riconosciute dalla Santa Sede. Xi ha parlato di un nuovo approccio alle questioni “etniche e religiose”, sempre “mantenendo il principio che le religioni in Cina devono essere cinesi nell’orientamento”. Sarà il Partito Comunista (ateo e marxista) a provvedere alla “guida attiva alle religioni così che esse possano adattarsi alla società socialista”. Per sostenere e sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi, Xi ritiene che sia sempre il Partito a dover compiere “analisi teoriche e provvedere una guida politica” negli affari etnici e religiosi. In un articolo su “Qiushi”, rivista di riflessioni comuniste del Comitato centrale del Partito, vengono elencati i punti principali dei “nuovi approcci” che Xi intende adottare nei confronti delle religioni: provvedere a una “guida” ai settori religiosi, insistere sul principio di “indipendenza” nelle religioni, e per la Chiesa cattolica, sostenere elezione e ordinazione di vescovi in modo “indipendente”, potenziando le "forze patriottiche". In sintesi: sarà il Partito a nominare i vescovi nella rosa di nomi proposti dall'Associazione Patriottica, i cui membri sono sacerdoti che, prima di tutto, sono fedeli al regime di Pechino e alla sua linea politica.

Tutto come stabilito nel 2015, insomma, quando il presidente cinese elencò i punti principali della sua strategia religiosa nel suo incontro con il Fronte Unito, gruppo che raccoglie tutti i piccoli partiti non comunisti presenti in Cina, insieme a rappresentanze di associazioni dell’industria, del commercio e delle diverse etnie e confessioni. Le religioni in Cina devono essere “cinesi” e libere da ogni “influenza straniera”. Esse devono integrarsi nella “società socialista” e sotto la guida del Partito comunista devono “servire lo sviluppo della nazione”. Xi ha riconosciuto che le persone sono influenzate dalle religioni, quindi al Fronte Unito spetta il compito di raccoglierle per “servire meglio lo sviluppo della nazione, l’armonia e l’unificazione”. Ai membri del Partito, però, viene chiesto un impegno all’ateismo militante. L’adesione a qualunque religione è stata di nuovo tassativamente vietata per tutti i tesserati. Ed è il Partito, appunto, che deve continuare ad avere la guida negli “affari etnici e religiosi”.

Dai tempi di Mao, la religione è vista come un tentativo straniero di infiltrare e far collassare la Cina comunista. Il Vaticano, denunciato da Mao come “il cane randagio del capitalismo”, è ancora oggi visto come una “potenza straniera” che “sotto il manto della religione” cerca di manipolare gli “affari interni della Cina”. Dopo il primo periodo di lotta dura alle religioni, la loro sinicizzazione è la strategia preferita di questo strano comunismo sopravvissuto e adattato al XXI Secolo.