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OMOFOBIA

Chiara Atzori: «Quante bugiesu gay e terapie riparative»

È bastato il suo nome per scatenare la protesta delle comunità Lgbt. Chiara Atzori è considerata omofoba. In questa intervista, la dottoressa Atzori spiega perché la caccia alle streghe è fondata su informazioni false.

Educazione 05_11_2013
"Il binario indifferente" di Chiara Atzori

Qualche volta basta la parola. È stato sufficiente leggere il nome di Chiara Atzori tra i relatori di un ciclo d’incontri privati per i genitori della scuola cattolica Faà di Bruno di Torino per scatenare la violenta aggressione degli attivisti Lgbt, che ha indotto l’istituto a sospendere l’incontro e l’Arcidiocesi di Torino a protestare energicamente per il tentativo d’imporre su queste materie un pensiero unico, censurando in modo preventivo chiunque proponga idee diverse da quelle della lobby gay. La dottoressa Atzori è di professione infettivologa: è stata subito accusata di considerare l’omosessualità una malattia infettiva, ridicolizzata e insultata. A differenza degli attivisti gay, abbiamo chiesto notizie sulla sua posizione non a qualche sito Internet Lgbt, ma direttamente alla dottoressa Atzori.

Dottoressa, Lei lavora come infettivologa e tiene conferenze sull’omosessualità. Significa che considera l’omosessualità una malattia infettiva?
L’accusa è talmente ridicola che non meriterebbe risposta. Sì, da vent’anni lavoro come infettivologa, e non sento il bisogno di scusarmene. Sono specialista di Aids e di altre malattie sessualmente trasmesse, che sono purtroppo tragicamente diffuse anche nella comunità omosessuale. Le ho studiate sul campo, anche negli Stati Uniti e in Africa, e ho partecipato a numerosi convegni internazionali. Ho molti pazienti omosessuali, che mi onorano della loro stima e spesso della loro amicizia. Non ho mai affermato che l’omosessualità sia una malattia.

Lei è stata dipinta come «la Nicolosi italiana», con riferimento allo psicoterapeuta statunitense dottor Joseph Nicolosi, sostenitore di una «terapia riparativa» per gli omosessuali che in Italia sarebbe «vietata» dall’Ordine degli Psicologi. È così?
Due precisazioni. Primo: non sono una psicoterapeuta. Secondo: il mio contatto con il dottor Nicolosi consiste nell’avere scritto dieci anni fa la prefazione all’edizione italiana di un suo libro. Nicolosi, però, non è un pazzo. Le sue teorie non sono certo condivise da tutti, ma è tuttora membro dell’American Psychiatric Association e invitato a parlare in convegni in tutto il mondo. L’Ordine degli Psicologi italiano, il cui presidente – candidato alle elezioni regionali pugliesi con la Lista di Vendola – è anch’egli non poco controverso per le sue posizioni militanti, non ha titolo a «vietare» alcunché e le sue raccomandazioni non hanno forza di legge.

Ma davvero questa «terapia riparativa» consiste nel «guarire» i gay dall’omosessualità intesa come malattia?
Altre sciocchezze. La terapia riparativa non è proposta ai gay, che per definizione sono gli omosessuali contenti e soddisfatti della loro condizione. È nata per un altro tipo di persone: coloro che sperimentano in sé un orientamento omosessuale indesiderato, che vivono con disagio e incertezza. Queste persone sono più numerose di quanto si creda, e gli psicologi che piacciono al presidente dell’Ordine italiano propongono loro la terapia Gat - «terapia affermativa gay» - la quale parte dalla premessa che il loro disagio nasca dall’interiorizzazione dell’omofobia presente nella società, e cerca di guidarli a superarlo vivendo positivamente la propria omosessualità. È certamente possibile che per qualcuno le cose stiano così, ma quella che non mi convince è l’affermazione dogmatica che dev’essere così per tutti, che tutte le persone incerte sulla loro identità sessuale sarebbero gioiosamente omosessuali se solo la società non fosse omofoba. L’alternativa alla Gat è la terapia riparativa, dove la parola «riparativa» non implica che in queste persone ci sia una qualche malattia da «riparare». La parola viene dal linguaggio psicanalitico, e ipotizza che l’omosessualità non desiderata sia un tentativo («sintomo riparativo» in psicanalisi) messo in atto dalla persona per ritrovare la propria identità sessuale dalla quale si è, per i motivi più variegati, inconsapevolmente distaccata. Può darsi che l’ipotesi non sia confermata. La terapia riparativa intende semplicemente esplorarla, su richiesta – lo ripeto ancora una volta – di queste persone che vivono una situazione d’incertezza.

Perché, allora, gli attivisti Lgbt ce l’hanno con Lei più che con altri?
Forse perché rompo un falso consenso secondo cui l’orientamento omosessuale è sempre per definizione bello, buono e felice, secondo cui esistono solo gay allegri e militanti e non anche persone incerte e a disagio. Questo falso consenso oggi cerca di esercitare un’egemonia su tutta la cultura. Mi sono sempre appassionata all’egemonia per una ragione di famiglia: Antonio Gramsci, il teorico comunista italiano dell’egemonia, era un mio pro-prozio. Ma mi consenta di dire che perfino Gramsci era più democratico e tollerante delle lobby Lgbt di oggi.