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L'AVVENTURA DEL VIAGGIO/2

Che cosa sappiamo davvero di Dante?

Il destino ha voluto che Dante morisse appena terminata Divina Commedia, ma cosa è noto della sua vita? Del Fiorentino non sappiamo molto e le  menzioni che fa di sè nella Commedia sono i punti per ricostruirne la biografia. - Divina Commedia, istruzioni per l'uso di G. Fighera

Cultura 16_06_2013
Dante

La Vita nova si conclude con una profezia di Dante: «Apresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire acciò io studio quanto posso, sì com’ella sae, veracemente. Sì che, se piacere sarà di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna» (capitolo XLII). L’ipotetica data di conclusione dell’opera è il 1294. Dante si ripromette di studiare ed esercitarsi fino a quando non sarà capace di scrivere quanto nessuno ha scritto di una donna. Dante conclude la Vita nova così: «E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus».

Il destino ha voluto che il Fiorentino morisse subito dopo aver terminato il sommo capolavoro a cui hanno posto mano Cielo e Terra. Era la notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, quando il poeta era di ritorno da un’ambasciata per conto di Guido Novello da Polenta a Venezia. Le capacità oratorie di Dante e la sua esperienza avrebbero dovuto scongiurare la guerra con Venezia, alleata di Forlì e Rimini. In effetti la guerra non sarebbe scoppiata. Dante, invece,  contrasse la febbre malarica che lo portò alla morte.
E il Paradiso era conosciuto e pubblicato? «Sicuramente non lo aveva ancora divulgato prima della metà del 1320, anche perché a quella data la cantica doveva essere ancora incompiuta» (Marco Santagata). Boccaccio addirittura racconta nel Trattatello in laude di Dante che gli ultimi tredici canti del Paradiso vennero invano cercati per tanti mesi. Solo grazie ad un sogno un figlio di Dante, Jacopo, li avrebbe ritrovati in una «finestretta» scavata nella camera da letto otto mesi dopo la morte del padre. Se queste informazioni corrispondano a realtà o a leggenda probabilmente non lo sapremo mai.

Certamente, nell’aprile del 1322 Jacopo invia a Guido Novello, il signore di Ravenna, che dava ospitalità a Dante, una Divisione che è una prolusione alla lettura della Commedia e un sonetto. Ne ricaviamo che anche l’ultima cantica, che non era ancora stata divulgata, era invece già stata letta da Guido Novello. A Ravenna sarebbe rimasto il corpo di Dante per tutti i secoli successivi. Ancora oggi, per chi si recasse a Ravenna, la tomba che si trova in via Dante Alighieri rimane uno dei luoghi più rinomati e visitati della città. Firenze cercherà tante volte di avere le ossa del poeta per collocarle in Santa Croce, ove riposano i grandi, per dirla col Foscolo. Ma la città «partita», piena di «superbia, invidia e avarizia», non riavrà mai quel sommo poeta che non era potuto rientrare in vita, non già perché la sua città non lo riavesse avocato a sé, ma perché tutte le volte che era stato proposto a Dante e ad altri esuli il ritorno era stato ingiunto loro anche di pagare una somma di denaro simbolica, segno, riconoscimento e ammissione di una colpa commessa, che Dante non avrebbe mai ammesso, in quanto innocente. L’accusa di baratteria era, infatti, una ignominiosa calunnia per escluderlo dalla politica di Firenze e cacciarlo in esilio. Dante avrebbe portato con sé sempre la ferita dell’exul immeritus.  

Ora, dopo queste considerazioni sulla morte di Dante, facciamo un passo indietro per scoprire quanto è noto della sua vita. Del Fiorentino non sappiamo molto di certo. Se di Petrarca si può ricostruire la vita con una precisione straordinaria, grazie anche al suo ricchissimo epistolario e alla tendenza del poeta di raccontarsi e di parlare di sé, altrettanto non si può dire di Dante, che ebbe come intento principale quello di educare con la scrittura e di descrivere la vita di questa Terra e l’uomo di ogni tempo sub specie aeternitatis. Poco spazio, quindi, lo scrittore ha riservato alle sue azioni, a fatti e vicissitudini. Le poche menzioni che lui fa di sé nella Commedia diventano alcuni punti fermi per ricostruirne la biografia. Così come fondamentale appare il romanzo della sua storia d’amore, la Vita nova, che non vuole raccontare tutta la giovinezza dell’autore, come avverte Dante nel primo capitolo, ma il significato della sua storia, reso comprensibile grazie all’incontro con Beatrice, che è pressoché coetanea di Dante (otto mesi più giovane) e che muore a ventiquattro anni nel 1290, l’8 giugno.

La data di nascita di Dante non è certa. Senz’altro il poeta è del segno dei gemelli, forse nacque in maggio. Sempre Boccaccio tratteggia questo ritratto del suo conterraneo, avvalendosi delle testimonianze di chi lo aveva direttamente conosciuto: «Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d'onestissimi panni sempre vestito in quell'abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso». In gioventù Dante studia retorica, tra i suoi maestri anche Brunetto Latini, poesia (si cimenta giovanissimo in sonetti dedicati a Bice di Folco Portinari, ovvero Beatrice) e, poi, filosofia (tra il 1292 e il 1294, in seguito alla morte di Beatrice, alle scuole dei Francescani di Santa Croce e dei Domenicani di Santa Maria Novella.

A dodici anni è fidanzato con Gemma Donati, con cui si sposa tra il 1283 e il 1285. Dal matrimonio nascono tre o quattro figli (Jacopo, Pietro, Antonia e, forse, Giovanni). Forse, durante le guerre aretino-pisane, fu impegnato in armi, dall’assedio di Poggio Santa Cecilia (1286) alla battaglia di Campaldino e all’assalto del Castello della Caprona (1289). Tra i suoi migliori amici vi furono Guido Cavalcanti (come ricaviamo dalla Vita nova, ove è chiamato il suo miglior amico), i poeti del sodalizio letterario stilnovista, Forese Donati (di cui è rimasta una famosa tenzone in cui i due si irridono). Nel 1295 Dante si iscrive alla corporazione dei medici e degli speziali e inizia a partecipare alla vita politica di Firenze fino a diventare Priore di giustizia nel bimestre 15 giugno-15 agosto del 1300, l’anno in cui è ambientata la Commedia, l’anno del primo Giubileo indetto dal Papa Bonifacio VIII, l’anno in cui Dante stesso manda in esilio a Sarzana l’amico Cavalcanti, che si ammalerà di malaria e morirà poco dopo, appena rientrato a Firenze.

Nel 1301 matura il futuro esilio di Dante che viene inviato in ambasciata a Roma con altri due eminenti personaggi fiorentini per trattare col Papa perché desista dall’intromissione nella politica interna di Firenze. In realtà, proprio mentre Dante è lontano, avviene un colpo di Stato ad opera dei guelfi neri, supportati da Carlo di Valois. Molti guelfi bianchi che sono al potere vengono condannati e esiliati. Nel gennaio 1302, forse di ritorno da Roma, nei pressi di Siena, Dante apprende la notizia della condanna comminatagli (una multa pecuniaria) per baratteria (una sorta di peculato, concussione). Non essendosi presentato in città a pagare, il Fiorentino è condannato a morte: se verrà trovato nel territorio fiorentino, verrà arso al rogo. L’esilio, secondo le leggi fiorentine, comporta anche l’esilio dei figli, una volta compiuti i quattordici anni.

Da questo momento in poi, dopo una prima iniziale partecipazione al tentativo dei Guelfi bianchi di rientrare a Firenze, Dante «fa parte per se stesso». Si separa dai compagni e inizia il suo esilio, di corte in corte, di città in città, da Treviso a Verona a Ravenna, scoprendo come «come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale» (Paradiso XVII). Non sappiamo neanche quando e se la moglie Gemma abbia raggiunto Dante, mentre con certezza i figli hanno rivisto il padre. Da questo momento inizia anche la fervente attività di scrittura del Fiorentino, dal Convivio al De vulgari eloquentia al De monarchia. Ma è la scrittura della Commedia a assorbire ben presto tutte le energie del sommo poeta.