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LA RIFLESSIONE

Che cosa avrei detto a Noa

Quando sei in presenza di un malato che ha deciso di morire, fargli compagnia non è solo vicinanza fisica ma cercare con lui un'ipotesi di valore, un'ipotesi che questa vita valga ancora la pena. Quello che avrei voluto dire a Noa è questo. Avrei cercato con lei quelle cose, quei rapporti, quelle esperienze della sua vita che per lei erano un legame positivo, pieno e bello con la realtà, facendola sentire amata, da vera figlia di Dio.

Editoriali 06_06_2019

Che cosa avrei detto se fossi stato vicino a Noa Pothoven? Con quali parole l’avrei raggiunta per impedirle di compiere quello che ha fatto? Non è facile rispondere a questa domanda perché accompagnare una persona che ha deciso di abbandonare la sua vita non è semplice. Anche con Dj Fabo non c’era uno schema preciso. Si tratta di entrare in un rapporto che preveda uno spazio in cui trovare qualche cosa per cui vale la pena.

Una volta ho assistito un uomo malato che aveva il forte desiderio di lasciarsi morire. Rimasi colpito dalle foto del suo cane appese alla parete sopra il letto. Ho iniziato un dialogo con lui. E lui mi ha raccontato del suo cane, di come erano inseparabili. Lo portava anche al lavoro e non era semplice, visto il mestiere che faceva, parecchio rumoroso. Questo mi stupì. Anch'io sono cresciuto con i cani e mi resi conto che nel rapporto con quel cane c’era gioia.

A quel punto gli raccontai la storia di una donna che avevo visitato molti anni prima. Le era stata fatta una diagnosi infausta e mi aveva ricevuto con il marito, al capezzale. Mi chiese a bruciapelo: «Ci sono cani in cielo?». Rimasi stupito della domanda: «Hai in mente un cane in particolare?». «Il mio», mi rispose. Compresi che mi faceva quella domanda perché ogni volta che tornava a casa era fuori di sé dalla felicità, perché quel cane era davvero tutto per lei. «Nessuno ti ha mai guardato come ti guardava lui, vero?». «Vero», mi disse. «E quindi tu non vuoi andare dove le persone non ti guardano e non vuoi andare in Paradiso se non c’è il tuo cane, vero?». «Vero», annuì. Allora aggiunsi: «Ti faccio un'ipotesi: se tu vai in un posto dove la tua vera identità di figlia di Dio, creata a immagine e somiglianza è rivelata al 100% e tutti quelli che ti vedono, vedono l’immagine di Dio, ti guardano con il massimo dello stupore perché tu sei a immagine di Dio, ecco se tu fossi in un posto così, ti mancherebbe quel cane?». «No», mi rispose. 

Ecco. A quel poveretto raccontai questo. Poi gli chiesi: «Per quel cane chi eri tu?». E lui: «Per quel cane io ero Dio», mi ha detto. «È vero. Tu eri Dio per lui e se anche ti avesse visto soffrire, per lui valeva sempre la pena di stare con te. Tu potresti avere un rapporto così, proprio qui, adesso, un rapporto che può valere la pena. Vedi, questa è interessante come ipotesi».

Mi disse che gli faceva bene parlare con me. Ci demmo appuntamento per un altro giorno, ma non mi fu più consentito di tornare a trovarlo. Oggi non è più con noi. 

Quello che avrei voluto dire a Noa è questo. Avrei cercato con lei quelle cose, quei rapporti, quelle esperienze della sua vita che per lei erano un legame positivo, pieno e bello con la realtà, mi sarei chiesto con lei se una tale bellezza sarebbe stata ancora possibile. 

È interessante verificare se un legame con la realtà è ancora possibile. Non so che cosa Dio avrebbe suggerito, ma ci avrebbe accompagnato alla ricerca di questa “ipotesi di valore”. 

Fare compagnia ai malati è questo: non è solo la vicinanza fisica, anche benintenzionata, non è il pietismo o l’infondere coraggio, non è solo dare una pacca sulla spalla perché questo alla lunga può deprimere ancora di più il sofferente. Ma fare compagnia per me è essere vicino con un'ipotesi di valore, un’ipotesi che questa vita valga ancora la pena. Sta a noi percorrere la strada della verifica di questa strada da fare con persone che abbiano uno sguardo positivo e non siano affrante dal dolore.

A Noa avrei detto questo. Avrei avuto uno sguardo per accorgermi con gli occhi che qualche cosa poteva ancora avere senso per lei. E poi verificarlo. Quando ho avuto la possibilità di stare con le persone in queste condizioni, ho sempre visto un cambiamento nella persona, che, piano piano, ha riscoperto un interesse per vivere la propria vita, anche solo una scintilla di interesse. Ci sono sguardi, suoni e sensazioni che suggeriscono una grazia nascosta: è la prova che questa persona non è lasciata sola, che qualcuno o qualche cosa le stanno offrendo legami positivi con la realtà. Quei legami sono una strada da percorrere. Questo avrei detto a Noa.