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FRANCIA/ IL CASO

Bar o moschea? Vescovi divisi sulle chiese in disuso

La proposta del rettore della grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, trasformare in moschee le chiese vuote, divide la Francia. Più di 40mila francesi hanno firmato la petizione “Giù le mani dalla mia chiesa”, ma alcuni vescovi han fatto sapere di preferire che le chiese in disuso diventino moschee piuttosto che ristoranti.

Ecclesia 17_07_2015
L'ex chiesa di Nantes trasformata in moschea

Il rettore della grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, era stato franco: «Le moschee che attualmente esistono qui non sono sufficienti. Il loro numero deve riflettere quello dei fedeli della nostra religione». E visto che costruirne di nuove costa e i permessi non sempre sono semplici da ottenere, perché non usare le tante chiese vuote che costellano la provincia francese? «É un problema delicato, ma perché no?», ha scritto nel suo libro “Lettera aperta ai francesi”. Dopotutto, ricorda, l'esempio che potrebbe essere replicato su larga scala c'è già, a Clermont-Ferrand, dove la cappella del Buon Pastore da oltre trent'anni è stata ceduta in gestione gratuita alla comunità musulmana. In fin dei conti, precisavano i maggiorenti locali, «è lo stesso Dio». 

Viste le immediate – e considerato il contesto, inattese – polemiche, Boubakeur ha fatto marcia indietro, dicendo che si trattava di falsità e che lui mai s'era spinto così avanti. Il direttore del periodico francese La Vie, Jean-Pierre Denis, ha ironicamente commentato in un editoriale apparso qualche giorno fa sul sito: «Sono rimasto sorpreso, lo confesso, dal modo in cui i media hanno ripreso la menzogna. Salvo poi vedere che tali idee sono messe nero su bianco nel suo libro, a pagina 270-271».

Una reazione popolare c'è stata: più di quarantamila francesi hanno firmato la petizione “Giù le mani dalla mia chiesa”, lanciata solo pochi giorni fa. Tra i primi a siglarla, venticinque tra politici della destra gollista e diversi intellettuali. Anche l'ex presidente Nicolas Sarkozy s'è associato all'appello. Un sondaggio di cui ha scritto il Washington Post ha sottolineato come l’80 per cento dei sostenitori del partito di Sarkozy sia contrario alla proposta del rettore della Grande moschea parigina. Percentuale che sale all’83 per cento se si prendono in considerazione gli elettori del Front National. Ma anche tra i socialisti (58 per cento) è netta la maggioranza di coloro che non vogliono il cosiddetto “passaggio di proprietà” tra edifici di culto.

Quel che non era prevedibile, però, è la spaccatura interna alla Chiesa cattolica locale. Diversi vescovi, fin dal giorno in cui Boubakeur aveva lanciato le sue proposte, avevano reagito con toni duri. Il vescovo di Fréjus e Tolone, monsignor Dominique Rey, parlava senza mezzi termini di «offesa alla nostra memoria collettiva», tirando in ballo «la nostra cultura e le nostre radici». Rey aggiungeva che «gli edifici di culto non sono né intercambiabili né omnicultes». Sulla stessa lunghezza d'onda il vescovo di Pontoise, Stanislas Lalanne: «Sono assolutamente contrario all’ipotesi che le chiese siano vendute ai musulmani e convertite in moschee. Capisco il bisogno di contare su luoghi di culto per pregare, ma la proposta di Boubakeur è una risposta sbagliata». 

Ma qualche voce in dissenso s'è levata. Monsignor Michel Dubost, responsabile del Dipartimento per gli Affari religiosi della Conferenza episcopale francese, ha fatto sapere di preferire che le chiese in disuso diventino moschee piuttosto che bar o ristoranti. Dubost ha di fatto contestato la petizione, affermando che il modo migliore per «difendere le chiese dal destino» è di «partecipare alla messa regolarmente». Sul punto, però, non concorda monsignor  Lalanne (che è anche membro del consiglio permanente della stessa Conferenza episcopale): «Le chiese sono luoghi sacri che, anche se non accolgono ogni giorno i credenti, non possono essere utilizzati per un altro scopo che non sia l’espressione della fede cristiana. Le chiese sono utilizzate dalle comunità cristiane per celebrare i matrimoni, i battesimi e i funerali. Non dobbiamo giocare con i simboli. Quei luoghi sono la memoria di generazioni e generazioni che vi si sono recate a pregare».