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TERRORISMO

Attacco in Kenya, è la stessa jihad che sfida l'Europa

L’attacco terroristico al Dusit Hotel di Nairobi del 15 gennaio è già stato quasi dimenticato. L'attenzione è maggiore quando i terroristi attaccano in Europa o negli Usa, dunque non ci si rende conto che è la stessa guerra dichiarata dall'islam jihadista. Quello del 15 gennaio è l'ultimo di una serie di attentati del jihadismo somalo.

Esteri 18_01_2019
Nairobi, forze speciali in azione

L’attacco terroristico al Dusit Hotel di Nairobi del 15 gennaio è già stato quasi dimenticato né ha destato molta attenzione, almeno in Italia. Eppure i jiahdisti somali al Shabaab hanno preso di mira un albergo a cinque stelle e il vasto complesso circostante, con ristoranti, negozi, uffici. Vi sono entrati a bordo di alcune automobili. Uno si è fatto saltare in aria, gli altri – forse quattro in tutto – dopo una seconda esplosione sono entrati nell’edificio principale sparando, uccidendo per primi i dipendenti e i clienti che si trovavano nella hall e poi man mano chiunque incontravano. Vi si sono asserragliati per 19 ore, finché non sono stati individuati e uccisi. Nel frattempo circa 700 persone sono riuscite a mettersi in salvo fuggendo dai vari ingressi o nascondendosi sotto le scrivanie degli uffici, nei bagni, nella speranza di non essere scoperti. Ma il bilancio delle vittime è elevato. Secondo un portavoce dei terroristi, i morti sarebbero 47. Le cifre ufficiali parlano di 14 morti, 21 dispersi e decine di feriti, di diverse nazionalità. Una delle vittime, Jason Spindler, un cittadino americano, era sopravvissuto all’attacco alle Torri gemelle l’11 settembre 2001.

Qualcuno dirà che attenzione e allarme sono maggiori quando gli attentati si verificano in Europa o negli Stati Uniti. In parte è vero, segno che non ci si rende conto che è in corso una guerra dichiarata dall’islam jihadista all’Occidente, combattuta attaccando ovunque nel mondo. Inoltre siamo abituati a sentir definire “lupi solitari” i terroristi che agiscono nei nostri paesi e, dei gruppi armati che agiscono in altri continenti, soprattutto in Africa, sappiamo poco, salvo che sono legati ad al Qaeda e qualcuno all’Isis, che però è stato sconfitto in Medio Oriente …

Ma quello del 15 gennaio è l’ultimo di una serie di attentati devastanti compiuti da al Shabaab in Kenya, oltre che in Somalia dove il gruppo è nato nel 2006 legandosi ad al Qaeda, dove continua a controllare una parte del territorio nazionale e dove riesce a colpire con attentati la capitale Mogadiscio, mirando a edifici governativi, basi della Amisom, la missione militare dell’Unione Africana, alberghi e ristoranti frequentati da politici, diplomatici e militari. Il peggiore è stato messo a segno nell’ottobre del 2017. L’esplosione di un mezzo carico di esplosivo in prossimità di un complesso che ospitava agenzie e truppe internazionali ha ucciso 587 persone e ne ha ferite 316.

In Kenya al Shabaab opera di frequente in zone vicine al confine tra Kenya e Somalia. Ma nel settembre del 2013 ha attaccato un grosso centro commerciale di Nairobi, il Westgate. Per più di tre giorni un commando vi è rimasto asserragliato, prima che i reparti speciali riuscissero a uccidere tutti i combattenti. Il bilancio finale è stato di 67 morti e 200 feriti. Agli ostaggi domandavano se erano musulmani, facevano recitare versetti del corano per assicurarsi che lo fossero e lasciarli andare liberi.

Nell’aprile del 2015 i jiadisti hanno attaccato il campus universitario di Garissa, 360 chilometri a nord est di Nairobi. Per un giorno intero, edificio per edificio, aula per aula, hanno cercato e ucciso 147 studenti, tutti gli studenti cristiani che non erano riusciti a scappare. Anche in quel caso hanno risparmiato gli studenti musulmani.

Dalla Somalia al Kenya al Tanzania, più a sud seguendo la costa, e nel 2015 gli al Shabaab hanno raggiunto anche il nord del Mozambico, la provincia di Cabo Delgado, dove hanno reclutato centinaia, forse migliaia di giovani e da un anno intensificano attentati e attacchi.

Tutto questo si dimentica o si ignora, sottovalutando forza, collegamenti internazionali, ideologia di questo come di altri gruppi jihadisti attivi in Africa. Da almeno cinque anni i presidenti somali che si avvicendano giurano che al Shabaab ha i giorni contati, che l’ennesimo attentato è solo un atto disperato prima della fine: e invece, perse le città e parte dei territori un tempo conquistati, continuano ad addestrarsi e preparare attentati, accogliendo jihadisti in fuga dal Medio oriente, finanziandosi in Somalia con il contrabbando di avorio e di una droga chiamata khat ed esigendo dazi nelle zone che controllano e in Mozambico con il contrabbando di legname, eroina e pietre preziose che nel nord del paese rende milioni di dollari, complici agenti di polizia e funzionari governativi.

D’altra parte, e pochi lo ricordano o lo sanno, i leader somali che annunciano la fine imminente di al Shabaab in realtà devono il fatto di esistere ai militari e ai finanziamenti stranieri, senza i quali al Shabaab ancora avrebbe in mano la capitale e le principali città. Dal 2007 a proteggere governo e parlamento, a contenere gli al Shabbab provvede una missione dell’Unione Africana, la Amisom, composta da 22.000 “caschi verdi”,  militari e agenti di polizia forniti  da otto stati africani, ma finanziata dall’Unione Europea che, per anni e forse anche adesso, ha corrisposto tra l’altro il salario di 1.028 dollari mensili percepito dai “caschi verdi”.    

Tornando al Kenya, cellule terroristiche di al Qaeda sono presenti nel paese da decenni. Il 7 agosto 1998, qualcuno lo ricorderà, un attentato dinamitardo suicida ha distrutto interamente l’ambasciata Usa di Nairobi, uccidendo 213 persone e ferendone 4.000. Contemporaneamente un’esplosione colpiva l’ambasciata Usa di Dar es Salaam, capitale del Tanzania. I danni furono minori e inferiore il numero delle vittime: 11 morti e 85 feriti.