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IL LATINO SERVE A TUTTI/XXXVI

Arte e poesia, fatti che hanno a che fare con la realtà

Nell'Ars Poetica Orazio ci ha lasciato un’epistola in versi in cui riflette sulla natura dell’arte, della letteratura, della bellezza. Che deve sempre essere ancorata alla realtà e allo stile. L’arte ha, oggi invece, spesso rescisso i rapporti con la realtà e con lo stupore che sgorga dall’osservazione e dallo sguardo su di essa. Quando la realtà è negata o rifiutata l’unica sorgente d’ispirazione è il nostro pensiero, talvolta obnubilato o malato, psicologicamente fragile, instabile.

Cultura 02_12_2018

Quinto Orazio Flacco (65 a. C. – 8 a. C.), uno dei poeti più letti e amati del mondo latino, ci ha lasciato un’epistola in versi in cui riflette sulla natura dell’arte, della letteratura, della bellezza. Nota come Ars poetica, ritenuta oggi appartenente al II libro delle epistole, la lettera si pone sulla scia della Poetica di Aristotele (384 a. C- 322 a. C), il primo trattato di poesia nella storia occidentale, punto di riferimento costante con cui confrontarsi.

Sulla linea di Aristotele che era convinto che il poeta non si dovesse mai allontanare dalla verosimiglianza si pone anche il celebre poeta latino:
Se ad un pittore venisse talento di congiungere a una testa umana un collo equino, e a membra accozzate da cento parti inserir piume variopinte, facendo sì che una donna, bella in viso, terminasse sconciamente in un sozzo pesce, ammessi a contemplare il quadro, sapreste, amici miei, trattener le risa? 

L’apertura dell’Ars poetica richiama da subito l’attenzione alla semplicità e all’unità dell’oggetto rappresentato. L’epistola di Orazio non procede, poi, con sistematicità, in modo organico, ma si articola con immagini e riflessioni spesso liberamente associate. Il poeta deve conoscere le proprie forze e in relazione ad esse scegliere l’argomento. Infatti, lo stile dovrà essere adatto alla materia rappresentata. Afferma, infatti, Orazio:
Se io non conosco e non so applicare le leggi poetiche e i metri propri di ciascun genere, come potrò esser salutato poeta?

La conoscenza della téchne (o ars, tecnica, il saper fare) e la sua applicazione sono fondamentali per l’artista, che deve riuscire a condurre il lettore o l’uditorio dove vuole. Per questo: 
non basta che le composizioni poetiche siano belle: devono anche esser commoventi e tali da trascinare, dove vogliono, l’attenzione degli uditori.

La parola, il linguaggio e lo stile dovranno conformarsi al personaggio rappresentato, altrimenti la rappresentazione desterà le risa, ovvero sarà comica. Per questo è ancora importante «attenersi alla tradizione» e creare personaggi «coerenti per sé stessi», con un linguaggio adeguato all’età. Ispirarsi alla natura è, quindi, un metodo imprescindibile per la creazione artistica.

L’artista dovrà, però, sottrarre alla vista ciò che per convenienza non deve essere rappresentato:
Medea non taglia a pezzi i propri figli in presenza del pubblico, né l’empio Atreo cucini viscere umane alla vista di tutti, né Progne si trasformi in uccello, o Cadmo in serpente.

Quanto è disdicevole, ripugnante e macabro, anche se presente o sottointeso nella narrazione, non va descritto o raccontato:
Inizio e fonte dello scriver bene è la sapienza.

Perciò, si chiede Orazio:
quando noi avremo una volta introdotto negli animi questo tarlo e questa febbre di guadagno, come potremo sperare di comporre canti da spalmarsi di cedro e da conservarsi in astucci di levigato cipresso?

È già ben chiaro all’epoca di Orazio che il desiderio di guadagno corrompe l’arte, estinguendo la sua vera scaturigine.
Il fine dei poeti è di giovare, o di dilettare, o di dire a un tempo cose piacevoli e utili alla vita. […] Le cose immaginate allo scopo di dilettare siano verosimili […]. Raccoglierà tutti i suffragi chi saprà contemperare con l’utile il dilettevole, offrendo spasso al lettore e insieme istruendolo.

Doti naturali e studio sono entrambi indispensabili alla poesia e all’arte. Scrive Orazio:
Si disputò se la vaghezza della poesia derivasse dalla natura o dall’arte. Per conto mio, non so intendere che cosa possa valere lo studio, senza una larga vena naturale; né l’estro poetico, non dirozzato dallo studio; tanto l’una cosa richiede l’aiuto dell’altra, e fanno comunella insieme.

L’impegno e gli sforzi devono, infatti, sempre accompagnare un’indole ben predisposta così come
chi si propone di raggiunger nella corsa la meta desiderata sostenne fin da piccolo mille prove, e compì mille esercizi; tollerò il caldo e il gelo; si astenne dagli amori e dal vino.

La poesia richiede, quindi, tecnica e labor limae, ma eviterà l’esagerata ornamentazione retorica. Lungi dall’ambiguità, ricercherà, invece, come dote somma la chiarezza.

Quanto potrebbero insegnare queste riflessioni di Orazio a tanti poeti del Novecento che hanno proclamato come propria bandiera l’ostentazione dell’espressione criptica ed ermetica a tutti i costi! Orazio ha, invece, con ragione annotato che l’arte ha come propri fini la piacevolezza, l’utilità e la comunicabilità.

Quanto utile sarebbe la conoscenza dell’Ars poetica per tanti artisti che mostrano nelle loro opere una scarsa conoscenza della tecnica o un totale disinteresse per la sua applicazione! Lungi dal labor limae, additano nella novità espressiva, nell’insolito espediente artistico e nell’impulsività comunicativa gli elementi indispensabili e imprescindibili per poter continuare a realizzare opere anche nella contemporaneità.

L’arte ha, oggi, spesso rescisso i rapporti con la realtà e con lo stupore che sgorga dall’osservazione e dallo sguardo su di essa. Quando la realtà è negata o rifiutata, quando il senso non è riconosciuto, l’unica sorgente d’ispirazione è il nostro pensiero, talvolta obnubilato, malato, psicologicamente fragile, instabile.