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CRISTIANI MEDIORIENTALI

Arabia del Sud, la diocesi dei cristiani invisibili

Arabia del Sud, un mondo semi sconosciuto, che comprende, oltre allo Yemen, l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Pochi, forse, sanno che il territorio è una diocesi della Chiesa cattolica con a capo il cappuccino mons. Paul Hinder, svizzero tedesco. A un pubblico italiano ha spiegato come vivono i cattolici del posto, tutti immigrati, non perseguitati, ma costretti a muoversi fra mille contraddizioni legali.

Libertà religiosa 08_10_2018
Paul Hinder

Arabia del Sud, un mondo semi sconosciuto salito all’onore delle cronache per la recente dolorosa guerra che contrappone la Repubblica dello Yemen e l’Araba Saudita. In verità l’area è immensa e comprende, oltre allo Yemen, l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Pochi, forse, sanno che il territorio è una diocesi della Chiesa cattolica con a capo il cappuccino mons. Paul Hinder, svizzero tedesco, che ha lasciato i boschi e le montagne innevate delle Alpi per il torrido deserto arabico. Dal 2003 guida la comunità cattolica, ricca di circa un milione di anime, come Vicario apostolico. In parallelo il comboniano mons. Camillo Ballin ha la responsabilità dell’Arabia del Nord (Arabia saudita, Bahrain, Qatar e Kuwait)  con circa 2.450.000 fedeli.

La penisola arabica, completamente controllata dall’islam, vede al suo interno una presenza cattolica significativa.  Nella sola Arabia Saudita 1.000.000 di fedeli, negli EAU circa 895.000, nella quasi totalità immigrati dalle Filippine, dal Bangladesh, dallo Sri Lanka e dall’India per cercare lavoro. Si tratta di una comunità molto variegata per lingue, abitudini, tradizioni, uno spaccato della cattolicità (universalità) della Chiesa di Roma non facilissimo da gestire su un territorio di quasi 3 milioni di km2 (10 volte l’Italia). La vastità ha quindi reso obbligatoria la divisione in due vicariati, uno con sede ad Abu Dhabi (quello del sud) e uno con sede in Bahrain.

Il Vicariato del sud è suddiviso in parrocchie corrispondenti alla chiesa esistente: 8 in EAU e una in costruzione, 4 in Oman, 4 nello Yemen. In verità nello Yemen, come pure in Arabia Saudita, non si tratta di vere chiese (eccetto a Aden) ma di case private che sono adibite a luogo di culto. Le autorità lo sanno ma tollerano se i cattolici si comportano con discrezione e i sacerdoti fanno il giro delle diverse realtà. Nello Yemen in verità non ci sono preti residenti, dopo lo scoppio della guerra e l’inasprirsi della situazione sono rimaste solo alcune suore di Madre Teresa di Calcutta a Sana’a.

Negli altri stati le chiese sono ampie, il numero di fedeli è molto elevato, ma non ci possono essere campanili o mostrare in facciata la croce.

Mons. Hinter, incontrato a Torino durante una conferenza pubblica, cerca di illustrare la situazione concreta in cui si trova ad operare: “con me ci sono 65 collaboratori, in maggioranza cappuccini. Nei momenti liturgici forti abbiamo fino a 25 sante messe per weekend in ogni chiesa. Prima di Natale i Filippini celebrano per 9 giorni, in Dubai lo fanno nel campo di calcio perché abbiamo sempre 25-30mila fedeli. Le suore sono di varie Congregazioni e gestiscono scuole con circa 25mila studenti, molto apprezzate e frequentate anche dai musulmani. Le suore di Madre Teresa di Calcutta si occupano in Yemen invece delle persone più disagiate, hanno una casa di accoglienza per handicappati fisici e mentali. Questo nostro accudire stupisce molto. I musulmani si chiedono come sia possibile che un non musulmano sia buono e si dedichi a chi invece la società scarta”.

La Chiesa araba è definita dal presule “una Chiesa di migranti per i migranti”. E’ infatti assolutamente vietato accettare delle conversioni dai musulmani. La pastorale può essere rivolta solo a cristiani o a membri di altre realtà religiose come indù, buddhisti. Talora la stessa opera di assistenza verso le persone malate o con handicap può essere vista come un tentativo di proselitismo e per questo mons. Hinter sottolinea che “si deve agire con molta discrezione e cautela”.

E’ un territorio in cui “incontriamo le fedi”, parlare di dialogo è quasi un azzardo. La comunità cattolica cerca di mantenere un buon rapporto con le altre comunità cristiane ma con l’islam i contatti sono sporadici salvo in occasioni ufficiali in cui le autorità sono sempre presenti, come all’inaugurazione della nuova chiesa di Abu Dhabi. Il popolo arabo è per tradizione molto attento al protocollo e quindi il vescovo, autorità nella Chiesa, è rispettato come tale. In altri contesti invece si avverte sempre di essere trattati come soggetti inferiori, il cattolico non è mai messo sullo stesso piano del musulmano. La shari’a pone dei limiti alla libertà del non musulmano ma in questo momento c’è una grande stima verso il Santo Padre e, come gesto di grande disponibilità al colloquio, è stato istituito il “Ministero della Tolleranza”, termine che può certamente far sorridere un Occidente abituato a non fare differenze, a non dire mai no a nessuno, a considerare tutti legittimati a fare di tutto. Oggetto di attenzione sono soprattutto i cattolici sia per motivi religiosi sia perché stranieri. Come si è detto nella maggioranza sono migranti che svolgono attività lavorative abbastanza umili ma fondamentali. I loro diritti sono limitati, tutto quello che il un migrante – cattolico o no - fa, lo può fare per una gentile concessione che è sempre a rischio di revoca.

Salvo casi sporadici, non si può parlare di persecuzione ma di limitazione della libertà personale con una serie di grandi contraddizioni: è lecito tenere in vista sulla propria auto un rosario o una croce ma non è lecito esporre la croce davanti ad una chiesa, è vietato ogni atto liturgico fuori dai locali prestabiliti ma poi le autorità danno il permesso di celebrare la santa messa nello stadio, la suora che si pende cura dell’handicappato cacciato di casa è molto ammirata ma anche accusata di far proselitismo, il vescovo è riverito come un’autorità ma periodicamente deve sottoporsi alla procedura burocratica per avere il permesso di soggiornare in suolo arabo, e ultimamente c’è stata la battaglia per evitare che le libere offerte dei fedeli fossero tassate al 10%, in Paesi in cui le tasse sono quasi sconosciute.

In questo momento il cattolico può vivere tranquillo ma deve essere molto attento a non suscitare proteste od osservazioni da parte dei vicini. Se qualcuno segnala attività religiose “illegali” queste vengono proibite e così si perde facilmente il lavoro fatto per anni. Ma sottolinea mons. Paul “è una chiesa ricca di bambini, circa 30mila frequentano il catechismo organizzato da più di 1400 volontari” e questo fa ben sperare per il futuro.