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INTRIGO INTERNAZIONALE

Ankara rilascia il pastore americano ed è un mistero

Il pastore protestante statunitense Andrew Brunson, arrestato in Turchia, a Smirne, nell’ottobre del 2016, è stato scarcerato ieri. Era al centro di una crisi internazionale fra gli Usa e la Turchia che lo teneva letteralmente in ostaggio. Perché questa liberazione? Forse c'entra un delitto: la scomparsa del giornalista saudita Khashoggi

Libertà religiosa 13_10_2018
Andrew Brunson saluta la folla a Smirne, una volta tornato libero

Il pastore protestante statunitense Andrew Brunson, arrestato in Turchia, a Smirne, nell’ottobre del 2016, è stato scarcerato ieri. Era al centro di una crisi internazionale di prima grandezza, fra gli Usa che ne chiedevano la liberazione e la Turchia che lo teneva letteralmente in ostaggio. Non è ancora pienamente libero e mancano ancora diversi passaggi prima di farlo tornare a casa. Tuttavia, la sua scarcerazione ha contribuito ad alleggerire la tensione ed è motivo di speranza.

Di Andrew Brunson si era già parlato su queste colonne, quando era iniziato il braccio di ferro tra l’amministrazione Trump e la Turchia di Erdogan. Era stato arrestato due anni fa, nei pressi di Smirne, perché la sua piccola chiesa presbiteriana era accusata di ospitare “terroristi del PKK” curdi e di essere direttamente coinvolto nel fallito golpe del luglio del 2016. Accuse arbitrarie, niente prove e testimoni rimasti sempre anonimi: la presenza di “terroristi” era ricostruita tramite contatti sui social network dei fedeli della sua chiesa.I contatti con i golpisti erano solo un'ipotesi, perché il pastore aveva fra i fedeli studenti africani che avevano frequentato una scuola di Fethullah Gulen, il politologo islamista in esilio negli Usa, accusato da Erdogan di essere la mente del golpe del 2016. Accuse che suonavano sin da subito come pretesti: molto probabilmente era a Gulen che i turchi volevano arrivare. Perché gli Usa si rifiutano, dal 2016, di concedere la sua estradizione. Quindi è probabile che i turchi abbiano arrestato e incarcerato questo pastore protestante, cittadino americano nativo della Carolina del Nord, come “pedina di scambio”. Un sospetto più che fondato, vista la vicinanza temporale del suo arresto con i fatti di luglio e soprattutto i motivi della sua carcerazione preventiva. Brunson è tuttora sotto processo e in attesa di sentenza. Rischia fino a 35 anni di carcere per l’accusa di collusione con gruppi terroristici.

L’amministrazione Trump è stata da subito chiara nel chiedere la sua liberazione e non ha esitato a usare tutto il peso della leva economica americana per ottenerla. Benché la Turchia sia un importante alleato della Nato, il 2 agosto gli Usa hanno imposto sanzioni ad personam ad Abdulhamit Gul, ministro della Giustizia e Suleyman Soylu, ministro dell’Interno. Steven Mnuchin, le ha motivate così: “la detenzione ingiusta e la continua prosecuzione da parte delle autorità turche è semplicemente inaccettabile”. Il segretario di Stato Mike Pompeo aveva aggiunto: “Il governo turco ha rifiutato di rilasciare il pastore Brunson, anche dopo numerose conversazioni con noi. Il presidente Trump è giunto alla conclusione che queste sanzioni siano un’azione appropriata”. Erano solo l’antipasto di sanzioni ancora più gravi, ma già il loro annuncio aveva causato uno shock economico notevole, facendo perdere valore alla lira turca. La grave crisi turca a cui abbiamo assistito ad agosto dipendeva da una serie di fragilità sistemiche, ma sicuramente il timore di un braccio di ferro economico con gli Usa è stato l’innesco principale.

Ieri, 12 ottobre, l’udienza si è tenuta alla data prevista e ha dato l’esito sperato. Dall’estate scorsa, per motivi di salute, Brunson si trovava agli arresti domiciliari. Da oggi è tornato a piede libero. “I miei pensieri e le mie preghiere sono per il pastore Brunson – ha scritto Trump sul suo profilo Twitter – e speriamo di riaverlo sano a casa presto e bene”. In carcere il pastore protestante ha sofferto molto, ha perso 22 kg secondo i suoi avvocati e deve prendere antidepressivi. Si è sempre detto innocente e totalmente estraneo alle accuse che gli venivano rivolte. “Sia chiaro – aveva detto in passato – io sono in prigione, non per qualcosa che ho fatto di male, ma per quello che sono: un pastore cristiano. Mi mancano tremendamente mia moglie e i miei figli. Ma, e sono convinto di questo: è un onore soffrire per Gesù Cristo come molti prima di me. La mia più profonda gratitudine va a tutti coloro che, nel mondo, stanno battendosi per me e stanno pregando per me”. Il suo calvario è ora finito. Almeno sembra. Finché sarà in Turchia non è detto, perché la situazione può cambiare anche all’ultimo minuto.

Andrew Brunson, oltre ad essere perseguitato in quanto cristiano, è sicuramente finito in un gioco politico molto più grande di lui. Incomprensibili, ancora, i motivi della decisione di liberarlo. La magistratura, che pareva determinata alla sua detenzione e condanna, anche dopo aver ammesso testimonianze infondate contro di lui, adesso ha cambiato rotta. Il processo appare condizionato dalla politica sin dal suo inizio, a maggior ragione adesso. È dunque una decisione (quasi certamente) politica quella che ha preceduto la scarcerazione. Cosa l’ha determinata? Sicuramente le sanzioni e la crisi di agosto sono alcune delle cause principali. Ma anche il mistero che ancora avvolge la scomparsa del giornalista d’opposizione saudita Jamal Khashoggi, nel consolato saudita di Istanbul, potrebbe essere una spiegazione. Il giornalista era entrato nel consolato solo per firmare le carte necessarie al matrimonio con una donna turca e non ne è mai più uscito. I turchi accusano i sauditi di averlo assassinato, perché era affiliato ai Fratelli Musulmani ed era un oppositore della monarchia saudita. Le autorità turche affermano di aver le prove dell'assassinio del giornalista della Fratellanza, avvenuto all’interno della sede diplomatica saudita a Istanbul e anche quelle dell’occultamento del suo cadavere (un medico legale avrebbe provveduto a sezionarlo e a renderlo irriconoscibile, sempre all’interno del consolato). Che cosa c’entra questo con l’America e il caso Brunson? Khashoggi, prima di tutto, era residente negli Usa, in fuga dalla persecuzione saudita. Poi, sempre secondo i turchi, la Cia avrebbe saputo in anticipo dell’intenzione saudita di assassinare Khashoggi e avrebbe lasciato fare. Un po’ minacciando rivelazioni scottanti e un po’ chiedendo sostegno nella nuova crisi con l’Arabia Saudita, la Turchia sta cercando di coinvolgere gli Usa dalla sua parte. Nel pacchetto di minacce e blandizie, fra queste ultime ci sarebbe anche la repentina liberazione di Brunson.

Aggiornamento: Andrew Brunson è giunto in territorio statunitense il 13 ottobre alla base aerea di Andrews, nei pressi di Washington DC