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PAOLO IL CALDO

Amianto, sisma, giustizia. La colpa è sempre di un altro

Le proteste per l’assoluzione dei membri della Commissione Grandi Rischi e quelle per l’annullamento della condanna per la vicenda Eternit fanno il paio. In ambedue si ritrova un atteggiamento tipico italiano: non accettare responsabilità personali e attribuire a qualcuno tutte le colpe. Atteggiamento che non ci farà mai dalla crisi.

Paolo il caldo 26_11_2014
Paolo Togni

Le proteste per l’assoluzione dei membri della Commissione Grandi Rischi e quelle per l’annullamento della condanna per la vicenda Eternit fanno il paio. In ambedue si ritrova un atteggiamento tipico italiano, quello che sta determinando l’impossibilità del nostro Paese ad uscire dalla crisi, almeno finché non venga radicalmente modificato: non accettare responsabilità personali, e attribuire a qualcuno (lo Stato, la Commissione Grandi Rischi, il padrone svizzero, l’uomo nero o chissacchì) tutte le responsabilità. Ho sbagliato: la responsabilità viene attribuita non “a qualcuno” o “a qualcosa”, ma “a qualcun altro”: chi giudica ne è rigorosamente escluso.

Se questo qualcun altro viene a mancare, scatta la rivolta. Anche quando, come nei casi in esame, l’accertamento dell’assenza di responsabilità a carico degli accusati avvenga a seguito di un regolare procedimento giudiziario che mandi indenni gli accusati. Ho già scritto qualcosa sul processo Eternit: ora mi interessa parlare di questo impegno a cercare comunque un “altro”, fatto naturale, persona o istituzione non importa, al quale venga addossata la responsabilità dell’evento luttuoso, o comunque negativo; atteggiamento sempre più diffuso ed oggi assolutamente comune. Atteggiamento che è talvolta in grado di influenzare anche la magistratura, e che in presenza di giudici poco strutturati può portare a condanne ridicole e demenziali, come quella pronunziata a carico dei membri della Commissione Grandi Rischi nella quale si inventava a carico degli imputati una inesistente responsabilità per le tragedie determinate dal terremoto de L’Aquila; sentenze spesso favorite o “coperte” da perizie stolidamente affidate, su temi che non si capisce cosa abbiano a che fare con la materia processuale, a persone non in grado di dare un apporto serio alla soluzione di questioni che, invece, serie lo sono.

In poche parole, domina la logica che spinge bighelloni, perditempo e clienti di bar alla famosa osservazione: «Piove, governo ladro!». Confesso che talvolta, in questo periodo, anch’io sono stato tentato di dirlo; però a spingermi non è stata la pioggia, ma il governo. Ma sotto l’affermazione, che può sembrare giocosa e innocua, c’è la logica del dar sempre la colpa ad altri, assolvendo magari i veri responsabili. L’estrema applicazione di questa logica è quella che spinge tante persone, anche in buona fede, ad assolvere tutti da qualunque comportamento, giustificandolo con il condizionamento ambientale. La logica dominante è: assolvere tutti coloro che sono vicini, anche contro l’evidenza, e condannare sempre e comunque, anche contro l’evidenza, soggetti non conosciuti personalmente, tanto più se anche indirettamente dominanti, e quindi legittimamente invidiabili.

Il vero problema è che gli italiani aborrono dal concetto della responsabilità personale; si fa sempre riferimento a qualcun altro al quale addebitare la responsabilità di quel che accade. Di questo non saprei individuare la genesi storica; non credo che dipenda dal nostro cattolicesimo e dalla Confessione, come sostengono molti analisti di cultura protestante, specialmente anglosassoni; credo piuttosto che all’origine di questo atteggiamento stia il troppo lungo stato di sudditanza a poteri assoluti e lontani che ha caratterizzato la nostra storia.

Uscire dalla crisi in cui ci dibattiamo non sarà per nulla facile, ed il rifiuto delle responsabilità contribuisce potentemente a questa difficoltà; difficile recuperarla fin quando, per esempio, ci saranno genitori imbecilli che si ribellano ai maestri per un giudizio negativo espresso sul loro rampollo, o i tifosi daranno colpa della sconfitta della propria squadra all’arbitro. Right or wrong, my country è un grande proverbio, insieme causa e frutto della creazione dell’Impero Britannico; applicarne la logica a vicende e persone piccole significa buttare al vento parole pretenziose e ridicole.