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IL BELLO DELLA LITURGIA

Ambrogio, il vescovo che cacciò gli ariani

E’ uno dei quattro principali dottori della Chiesa d’Occidente, titolo conferitogli per il suo contributo alla riforma della liturgia e per le sue approfondite riflessioni teologiche. Nella cacciata degli ariani al Castello Sforzesco vi si riconosce un Ambrogio deciso che, flagello alla mano, minaccia Ario e i suoi seguaci, costringendoli ad abbandonare definitivamente la città, disponendoli in un’ordinata teoria, ciascuno con tanto di fagotto sulle spalle.
-VITA E CATECHESI di Aurelio Porfiri

Cultura 07_12_2018

Sant’Ambrogio – Milano Basilica di Sant’Ambrogio, Sacello di San Vittore in Ciel d’Oro.

 

Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura… (Dalle Lettere di S. Ambrogio, vescovo)

Chi fosse Sant’Ambrogio lo sappiamo. Nacque a Treviri, in Germania, intorno all’anno 339, nell’ambito di una facoltosa famiglia cattolica che lo fece studiare nelle migliori scuole di Roma. Divenne funzionario dell’impero. Per le sue doti diplomatiche fu inviato nell’allora capitale, Milano, per dirimere la diatriba tra ariani e cristiani. E qui, pur non essendo neanche battezzato, fu acclamato vescovo a furor di popolo.

E’ uno dei quattro principali dottori della Chiesa d’Occidente, titolo conferitogli per il suo contributo alla riforma della liturgia e per le sue approfondite riflessioni teologiche. Come tale, dunque, compare insieme ad Agostino, Girolamo e Gregorio nei pennacchi di tante cupole di altrettante chiese di tutta Italia. Facciamo un esempio nella sua città, intendo di adozione. A Milano in Santa Maria delle Grazie la sua immagine è graffita, per volere di Donato Bramante, ideatore di questa straordinaria porzione di architettura, in un tondo alla base della cupola della tribuna. La mitria e il pastorale, come accade per tanti santi vescovi, sono anche per lui simboli iconografici. Se ne aggiunge un terzo, il flagello a tre code che simboleggia il dogma della Trinità, messa in dubbio da Ario la cui dottrina eretica venne da Ambrogio a Milano debellata.

Nel Museo di Arte Antica del Castello Sforzesco, rimanendo in ambito “ambrosiano”, è conservato un rilievo che un tempo coronava la porta romana medievale. Rappresenta la cacciata degli ariani e vi si riconosce un Ambrogio deciso che, flagello alla mano, minaccia Ario e i suoi seguaci, costringendoli ad abbandonare definitivamente la città, disponendoli in un’ordinata teoria, ciascuno con tanto di fagotto sulle spalle.

Qualora, poi, si volesse leggere per immagini altre storie della vita di questo grande pastore basterebbe recarsi nella basilica che porta il suo nome, da lui stesso fondata alla fine del IV secolo insieme ad altre che disseminò sul territorio cittadino per ribadirne la connotazione cristiana. Intitolata ai martiri, la basilica di Sant’Ambrogio conserva, tra le tante preziose opere d’arte, un capolavoro di oreficeria carolingia noto come l’altare di Vuolvinio, dal nome dell’artefice che orgogliosamente ci lasciò sopra la sua firma.

Collocata al centro del presbiterio l’ara mostra verso i fedeli una facciata in oro con rilievi che raccontano la vita di Gesù e, sul lato opposto, verso il coro dove prende posto il clero, come imperituro esempio da seguire Vuolvinio incise nell’argento episodi della vita del santo, dalla sua elezione divina a guida della chiesa milanese fino alla sua morte.

Non è ancora tutto… Precedente rispetto alla chiesa esisteva, e tuttora esiste, un sacello in cui il vescovo Materno volle seppellire la salma di Vittore il Moro, un soldato di stanza a Milano all’epoca dell’imperatore Massimiano che lo fece uccidere per la sua fede cristiana. La cupoletta di questo piccolo ambiente, inglobato successivamente nel corpo della chiesa, è interamente rivestita di tessere musive dorate. Al centro compare Vittore mentre sulle pareti, a figura intera, sono disposti i santi martiri Gervasio e Protasio, Nabore e Felice e i vescovi milanesi Materno e Ambrogio. Quest’ultimo è l’unico a non essere dotato di aureola e dell’epiteto di sanctus: è rappresentato, infatti, in abiti civili, privo di qualsiasi attributo iconografico. Questi particolari inducono, dunque, gli studiosi a ritenere i mosaici molto prossimi alla morte del Santo, datandoli al V secolo e a considerare l’immagine di Ambrogio un suo autentico ritratto.