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COOPERAZIONE

Altri soldi (buttati) alla Somalia

Il presidente Mohamud ottiene quasi due miliardi di euro per la Somalia. L'Ue fornisce 650 milioni che vanno sommati al miliardo e passa già donato in passato. Ma gli aiuti fluiti al dilaniato Paese africano, finora, a cosa sono serviti? Il controllo del territorio è ancora in mano ai guerriglieri. E la corruzione dilaga.

Esteri 18_09_2013
Shebaab

Il presidente della Somalia, Hassan Sheik Mohamud, è a Roma in questi giorni per definire i dettagli del contributo italiano al “New Deal”, il progetto di ricostruzione del suo paese deciso il 16 settembre a Bruxelles nel corso di una conferenza internazionale e per il quale gli oltre 50 paesi partecipanti si sono impegnati a fornire complessivamente 1,8 miliardi di euro. L’Unione Europea ha deciso di contribuire con 650 milioni di euro che si aggiungono al miliardo e 120 milioni già dati alla Somalia tra il 2008 e il 2013, impiegati in parte per finanziare la missione militare Amisom dell’Unione Africana, forte di 18.000 soldati, e in parte per realizzare programmi di sviluppo. Il resto del denaro arriverà da alcuni Stati europei, da Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e da alcune grandi organizzazioni internazionali. Da parte sua, l’Italia intende offrire nove milioni di euro che – ha dichiarato il Ministro degli Affari Esteri Emma Bonino – in gran parte verranno destinati alla formazione, settore in cui l’Italia ha collaborato con la sua ex colonia fin dai tempi di Siad Barre.

L’esito della conferenza è stato accolto come una importante pietra miliare nella storia della Somalia: la cifra concordata è più del doppio di quella che gli organizzatori speravano di raccogliere, ha ricordato l’ambasciatore britannico a Mogadiscio Neil Wigan, e consentirà di realizzare in Somalia i cambiamenti tanto attesi dalla popolazione. Altri hanno parlato di evento storico e il presidente somalo Mohamud ha ringraziato per la nuova speranza offerta al suo popolo dopo oltre venti anni di guerra civile e per quanto fatto finora: «grazie ai fondi europei – ha dichiarato – milioni di vite sono state salvate e grandi progressi sono stati compiuti».

Nessuno, è ovvio, ha osato domandare al presidente come mai, nel frattempo che l’Unione Europea tanto si prodigava insieme agli altri donatori, la classe politica somala intascava sistematicamente i due terzi degli aiuti finanziari ricevuti, servendosi addirittura della Banca Centrale somala, e che cosa ne ha fatto. Il governo somalo d’altra parte all’inizio di settembre ha sdegnosamente respinto le accuse di corruzione documentate dalla Banca Mondiale e dal Gruppo di monitoraggio per la Somalia per conto delle Nazioni Unite.

In effetti, al di là delle dichiarazioni ufficiali, dubbi e riserve sul futuro del paese sono stati espressi da più parti, prima di tutto per il fatto che ancora i terroristi al Shabaab controllano vaste porzioni di territorio e continuano a mettere a segno attentati anche nelle città che hanno abbandonato nei mesi scorsi.

Il 12 settembre il convoglio nel quale viaggiava il nuovo presidente del Jubaland, Ahmed Madobe, è stato attaccato mentre stava lasciando l’aeroporto: una potente autobomba ha causato una ventina di morti tra le guardie del corpo del presidente rimasto illeso. Il giorno prima nella stessa Kismayo e a Merka ci sono stati scontri a fuoco, esplosioni, colpi di mortaio

Il 5 settembre esplosioni si sono verificate nei pressi dell’aeroporto internazionale di Mogadiscio e in diversi distretti della capitale e lo stesso presidente Mohamud è scampato due giorni prima a un attentato al suo convoglio: un’imboscata messa a segno sulla strada per Merka, a Sudovest della capitale. Tutti gli attentati sono stati rivendicati o comunque attribuiti ai terroristi al Shabaab.

Se la sicurezza appare come problema prioritario – Medici senza frontiere, dopo 20 anni di presenza ininterrotta nel paese, lo scorso mese ha deciso di interrompere tutte le attività ritenendo ormai troppo pericoloso continuare – la corruzione dilagante, a ogni livello, pone ostacoli perfino maggiori alla ricostruzione e al ritorno alla vita civile.

Tutti lo pensano e qualcuno non ha esitato a dirlo. Tra questi, gli stessi al Shabaab che hanno paragonato la conferenza di Bruxelles ai Belgian Waffles, cialde dolci fuori, ma prive di sostanza: le promesse dei donatori – hanno sentenziato tramite un portavoce – in gran parte non verranno mantenute oppure il denaro si perderà nei mille rivoli e nel grande mare della corruzione.

Peraltro, riferisce la Bbc, anche i funzionari governativi somali presenti a Bruxelles non erano poi così soddisfatti: alcuni hanno espresso disappunto per il fatto che la maggior parte dei paesi donatori avessero mandato a rappresentarli dei funzionari di basso livello e preoccupazione che gli impegni presi dai donatori restino sulla carta. Forse speravano di tornare a casa già con il bottino.