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STATALISMO

Alitalia, nazionalizzazione anacronistica

Di fronte al fallimento conclamato della compagnia aerea di bandiera, il governo Conte ripesca la soluzione peggiore possibile: la nazionalizzazione. Sarà lo Stato, dopo aver speso più di 10 miliardi in salvataggi, a subentrare nella proprietà come azionista di maggioranza.

Politica 17_02_2019
Alitalia

Passano i governi ma la “telenovela” della compagnia aerea di bandiera prosegue con qualsiasi colore politico. Alitalia è un pozzo senza fondo, che risucchia soldi pubblici senza che l’azienda risalga minimamente la china, anzi con continui peggioramenti sul piano della gestione finanziaria.

La riunione del 14 febbraio tra i sindacati e il ministro del Lavoro Luigi Di Maio non è stata per niente illuminante in termini di dati e numeri sul futuro. Ferrovie dello Stato italiane ha annunciato che sono state avviate le trattative con il vettore tradizionale americano Delta Airlines e con la compagnia britannica low cost Easyjet. L’inizio delle trattative è arrivato tre mesi e mezzo dopo l’annuncio dell’offerta del gruppo ferroviario italiano per Alitalia.

Ma prima di addentrarsi nella situazione specifica di Alitalia occorre contestualizzare queste febbrili trattative delle ultime ore in un quadro di progressiva statalizzazione, imputabile alla concezione che hanno i Cinque Stelle dell’economia di mercato e del rapporto tra Stato e impresa.

La figura dello Stato padrone non si affaccia soltanto sul disastrato mondo bancario (vedi Carige e nazionalizzazione della banca genovese auspicata dai due vicepremier), bensì anche in altri ambiti produttivi. Basti pensare al ruolo crescente di Cassa depositi e prestiti nella partita Telecom-Open Fiber per la creazione di un’unica infrastruttura italiana per il trasporto dati o alle mire espansionistiche della “mano pubblica” nella gestione delle autostrade.

Quanto ad Alitalia, nessun governo ha mai affrontato con senso dello Stato e con un po’ di sano realismo lo stato di salute della nostra compagnia di bandiera, che ha un numero di dipendenti esagerato che guadagna stipendi esagerati e che è gestita con discutibili criteri manageriali.

Alitalia ha 12.500 dipendenti di cui 8.400 impiegati nell’aviation e 3.100 nell’handling. E’ ottava nel continente per numero di dipendenti, davanti a compagnie che trasportano molti più passeggeri. Ciò suggerirebbe cure dimagranti in termini occupazionali e una capillare opera di spending review che nessun esecutivo ha mai sollecitato. Nel 2018 la compagnia di bandiera ha registrato un margine operativo (Ebitda) negativo di 154 milioni di euro. La stima della perdita netta potrebbe superare i 500 milioni di euro. Si tratta, dunque, di un vettore che, nonostante il lavoro dei commissari, non è competitivo sul mercato.

In totale lo Stato ha investito 10,6 miliardi per la compagnia di bandiera, la metà dei quali negli ultimi dieci anni. Nonostante questi investimenti si siano rivelati infruttuosi, il Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio ha rilanciato l’idea dell’intervento dello Stato, con una nuova iniezione di capitali, ovviamente soldi della collettività.

Ormai è certo l’ingresso dello Stato, tramite Ferrovie dello Stato e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che hanno confermato il loro ruolo di leader nella fase di trattativa. E il governo ha ripetuto che la compagnia avrà come azionista di maggioranza lo Stato.

Pertanto Easyjet e Delta potranno arrivare nel complesso al 40 per cento, attraverso un investimento limitato, meno di 50-100 milioni di euro. I due possibili partner industriali sono complementari perché il primo è interessato al corto medio raggio e allo scalo di Linate, mentre Delta punta al mercato nord-atlantico.

Lufthansa, invece, avrebbe acquistato l’intera compagnia o una percentuale maggiore, ma si è tirata indietro di fronte all’aspirazione statalista dell’esecutivo. Quella della compagnia aerea tedesca avrebbe potuto essere una soluzione remunerativa, con un piano finanziario gestibile e sostenibile, ma lasciando a casa un po’ di lavoratori. E questo, ovviamente, in piena campagna elettorale per le europee, e forse anche per le elezioni politiche anticipate, i grillini non potrebbero permetterselo. Meglio quindi continuare a mettere le mani nella tasche degli italiani per garantire ossigeno a un’azienda decotta e finora incapace di risollevarsi.

Un interventismo miope, quello del governo Conte, destinato a produrre effetti ulteriormente nefasti sulla gestione di Alitalia, che deve recuperare anche i miliardi di debito accumulati negli anni. Basterebbe che lo stesso metodo di analisi costi-benefici, usato come paravento per stoppare la Tav, venisse adottato per misurare l’efficacia e l’utilità della nazionalizzazione nell’ambito del trasporto aereo. Forse emergerebbero cose che al governo attuale non farebbe piacere sentire.