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JIHADISMO

Al Sisi condanna l'islamismo, ma l'Egitto non ascolta

«In Egitto e nel mondo arabo l'islam non è la soluzione». Abdel Fattah al-Sisi rilascia un'intervista al quotidiano francese le Figaro e spara a zero su tutte le forme di islamismo. Ma purtroppo la società egiziana non sembra aver accolto le parole del presidente: continuano gli omicidi dei cristiani.

Libertà religiosa 25_10_2017
Al Sisi

«In Egitto e nel mondo arabo l'islam non è la soluzione». Abdel Fattah al-Sisi, musulmano di 62 anni, già capo del Consiglio supremo delle forze armate, eletto nel giugno del 2014 presidente dell'Egitto, ci ha abituato a commenti non banali sul rapporto tra religione coranica e Stato. Eppure le due dichiarazioni fanno sempre rumore. A margine di una visita ufficiale in Francia, dove ha incontrato il presidente Emmanuel Macron per parlare di terrorismo, Libia e investimenti, Al-Sisi ha rilasciato un'intervista al Figaro, nella quale ha ribadito alcuni dei concetti più originali e rivoluzionari del suo mandato.

Nel gennaio del 2015 infatti, parlando al gran consesso di imam, ulema e studiosi dell'università di Al-Azhar, la massima autorità del mondo islamico sunnita, disse: «Ora mi rivolgo ai religiosi e agli imam. È inconcepibile che il pensiero che noi riteniamo più sacro faccia dell’intera umma (comunità musulmana mondiale, ndr) una causa di ansietà, pericolo, morte e distruzione per il resto del mondo. Questo pensiero – e non sto parlando di “religione” ma di “pensiero” –, questo corpo di testi e di idee che abbiamo sacralizzato nel corso dei secoli, fino al punto che separarsene è diventato quasi impossibile, si sta inimicando il mondo intero. Si sta rendendo nemico il mondo intero! È mai possibile che 1,6 miliardi di persone (i musulmani, ndr) vogliano uccidere i restanti sette miliardi di abitanti del mondo per poter vivere? No, questo non è possibile. Abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa».

Non bisogna illudersi che Al-Sisi non abbia i suoi interessi, da militare e politico, e il discorso, oltre a fini religiosi, aveva come scopo anche quello di mettere ai margini della società i Fratelli Musulmani, il cui slogan è appunto «l'islam è la soluzione». Dopo aver deposto con un colpo di Stato (appoggiato dalla maggioranza degli egiziani) il presidente legato alla Fratellanza Mohamed Morsi nel 2013, ha dichiarato fuorilegge i Fratelli Musulmani, ne ha arrestato centinaia di membri, che poi sono stati condannati (anche a morte) con sentenze spesso sproporzionate rispetto ai fatti contestati. Nonostante questo, il suo appello a una «rivoluzione religiosa» resta importante. «L'ideologia dei fratelli Musulmani è pericolosa», ha dichiarato il presidente egiziano al Figaro, «perché loro non hanno la minima tolleranza religiosa o politica. Invocano l'islam per accaparrarsi l'intero potere economico e politico. Un jihadista non è che un Fratello Musulmano all'ultimo stadio. Hanno nomi diversi – Hasm, Al Qaeda, Daech, Boko Haram ecc – ma obbediscono tutti alla stessa ideologia mortifera. Vogliono distruggere non soltanto il mondo arabo ma il mondo intero».

Ecco perché, secondo il presidente, «poiché la gente non riesce a leggere bene i testi sacri dell'islam, a interpretarli bene, ad adattarli al mondo contemporaneo, io penso che oggi sia meglio separare religione e politica. Dappertutto nel mondo musulmano, dove non sono separate, si riscontra un fallimento: guardiamo l'Afghanistan o la Somalia». Proseguendo nell'intervista, Al-Sisi ha aggiunto che «ho insistito sull'assoluta necessità di rivedere il discorso religioso e rinnovarlo, per mettere in primo piano i valori della pace e della tolleranza, della compassione e della comprensione reciproca che sono intrinseci alla religione musulmana. Il Corano dice: “Nessun costrizione in materia di religione”. Ogni essere umano deve essere libero di credere o non credere e di scegliersi la sua religione. Noi dobbiamo lavorare insieme per correggere le interpretazioni errate dei precetti religiosi, che vengono usate per giustificare la violenza e il terrorismo. Bisogna distruggere l'estremismo e Al-Azhar gioca un ruolo fondamentale in questo».

Purtroppo la società egiziana non sembra aver ascoltato le richieste del presidente, che si è dimostrato particolarmente impotente nel contrasto al terrorismo e alla persecuzione dei cristiani. L'ultimo caso è quello di padre Samaan Shehata, sacerdote copto ortodosso ucciso il 12 ottobre con ripetute coltellate a sud del Cairo. L'estremista islamico che l'ha ucciso ha dichiarato che è stato «Allah a ordinarmelo». Ma ciò che più ha scandalizzato i cristiani è stato l'intervento del famoso predicatore egiziano Sheikh Samir Hashish, secondo cui chi uccide un «infedele» deve sì essere punito, ma non «con severità» perché «il sangue di un non musulmano non è prezioso come quello di un musulmano».

L'assassinio è purtroppo solo l'ultimo di una lunga serie. A maggio l'Isis ha attaccato un autobus di pellegrini copti diretti al monastero Anba Samuel. In 29 sono stati trucidati perché cristiani. Da dicembre sono più di 100 i cristiani uccisi da estremisti islamici. Oltre agli attentati contro la cattedrale copta di San Marco, al Cairo, e quelli la Domenica delle palme nelle chiese di Tanta e Alessandria, i terroristi islamici hanno anche lanciato un’offensiva nel Sinai del Nord, uccidendo i cristiani casa per casa nella città di Al-Arish. A migliaia sono scappati dopo la serie di omicidi e non tutti sono tornati. In molte città soprattutto della provincia di Minya, inoltre, ai cristiani è impedito di costruire chiese o riparare quelle già esistenti. Molti sono costretti a pregare solo in casa e a volte la polizia, incitata da fanatici, impedisce anche questo semplice gesto.

Al-Sisi ha sempre parlato in difesa dei cristiani: ha finanziato la costruzione della chiesa in onore dei 21 martiri copti in Libia sgozzati dall'Isis, ha risarcito le famiglie cristiane dopo i tanti attentati jihadisti e ha promosso una legge per facilitare la costruzione di nuove chiese, oltre a limitare il raggio d'azione dei Fratelli Musulmani. Nonostante questo, la persecuzione e la discriminazione in Egitto non sono diminuite. Le parole ripetute dal presidente al Figaro meritano di essere sottolineate e sostenute, ma dal “Leone d'Egitto” si pretendono più fatti.