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L'ANALISI

Al-Qa'ida fase Tre: «Eliminare i cristiani» (vers. integrale)

L’organizzazione fondata da bin Laden è più forte di prima. Dopo l'era dei grandi attentati e dopo aver alimentato la crescita di un network di gruppi terroristici autonomi, ora è entrata nella sua terza fase: controlla territori ultra-fondamentalisti, in Medio Oriente e in Africa. E per la prima volta l’obiettivo esplicito è la «pulizia religiosa»: a cominciare dall'Africa subsahariana, dove il massacro di cristiani è già iniziato.

Esteri 19_12_2012
A proposito di al-Qa’ida, l’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden (1957-2011), si può enunciare una sorta di teorema: ogni volta che si pensa che sia finita, si ripresenta più forte di prima. Basterebbe ricordare l’imbarazzante avventura del sociologo francese Gilles Kepel, uscito in libreria con un libro che annunciava la fine di al-Qa’ida il giorno prima dell’11 settembre 2011. Certamente al-Qa’ida non è finita, ma si è trasformata più volte durante la sua storia. E oggi si dedica a qualcosa che in passato aveva trascurato e perfino condannato: le stragi di cristiani.
 
Al-Qa’ida in arabo significa «la base» e all’origine è appunto questo: una base di dati, con i nomi di tutti gli attivisti musulmani che sono accorsi in Afghanistan a combattere contro l’invasore sovietico. L’idea è di un professore palestinese, Abdullah Azzam (1941-1989), che però – in contrasto con Hamas – è convinto che la guerra santa dell’islam vada combattuta dovunque se ne presenti l’occasione, senza privilegiare particolarmente la Palestina e lo scontro con Israele. Per evitare che Hamas gli faccia la pelle, Azzam si trasferisce a insegnare all’Università di Jeddah, in Arabia Saudita, dove ha come allievo un giovane miliardario desideroso di menare le mani, Osama bin Laden. Insieme, Azzam e Bin Laden combattono in Afghanistan e organizzano la base con i dati dei combattenti internazionali, appunto al-Qa’ida. Quando, nel 1989, bin Laden si sente in grado di prendere il comando dell’organizzazione, Azzam muore in un oscuro attentato a Peshawar, in Pakistan, insieme con i due figli, probabilmente ucciso dal suo ambizioso allievo saudita.
 
Bin Laden può così reclutare un buon numero di veterani della guerra contro i sovietici in Afghanistan e trasformare al-Qa’ida in un movimento terroristico classico, diverso per ideologia – islamica anziché comunista – dalle Brigate Rosse, ma da queste non troppo dissimile per struttura e organizzazione. Bin Laden e il suo principale collaboratore, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, sono terroristi tecnicamente preparatissimi, e possono contare sulla simpatia di un retroterra costituito da milioni di musulmani ultra-fondamentalisti. I risultati sono dunque ben più devastanti di quelli delle Brigate Rosse: gli attentati sono sempre più spettacolari, dal primo attacco del 29 dicembre 1992 a due alberghi ad Aden, nello Yemen (due morti), fino a quello del 7 agosto 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania (234 morti) e all’11 settembre 2001 (2.996 morti).
 
È quella che possiamo chiamare «al-Qa’ida 1»: forse la più letale organizzazione terroristica di tutti i tempi, ma pur sempre un movimento di terroristi di tipo classico. Con gli attentati Bin Laden non vuole certo prendere il potere in Occidente, il suo scopo è che governi «amici» (ultra-fondamentalisti) sostituiscano i regimi modernisti (Egitto) o tradizionalisti (Arabia Saudita) nei Paesi a maggioranza islamica. Questi regimi, secondo bin Laden, stanno in piedi solo perché l’Occidente li sostiene. Attaccando direttamente gli occidentali con spettacolari attentati, pensa bin Laden, l’opinione pubblica si spaventerà e chiederà ai suoi governanti di disinteressarsi del mondo islamico. Questa strategia funziona solo parzialmente.
 
Con la presidenza di George W. Bush, ben lungi dall'adottare una posizione isolazionista, gli Stati Uniti reagiscono vigorosamente agli attentati con le guerre in Afghanistan e in Iraq.
L’11 settembre porta, come effetto immediato, alla guerra contro il regime che ospita Bin Laden, quello dei talebani afghani. La guerra smantella i campi di addestramento di al-Qa’ida in Afghanistan e trasforma quella di nascondersi e sfuggire agli americani nella principale occupazione del suo gruppo dirigente, a partire dallo stesso bin Laden. Il super-terrorista riuscirà a eludere una delle più grandi cacce all’uomo della storia per dieci anni, finendo per essere ucciso ad Allottabad, in Pakistan, solo il 2 maggio 2011. Ma nel frattempo la capacità di bin Laden, di Zawahiri e dei loro principali collaboratori di dirigere un’organizzazione terroristica di tipo classico era stata completamente disarticolata.
 
Nasce così «al-Qa’ida 2». Se fino al 2001 «al-Qa'ida I»  è un movimento che addestra terroristi, sceglie le missioni e le porta a termine gestendole direttamente, dopo l'11 settembre e la guerra in Afghanistan «al-Qa’ida II» è un network che opera secondo il principio del franchising. Gruppi autonomi, non creati da al-Qa’ida, progettano gli attentati «ispirati» dai documenti di bin Laden e Zawahiri. Quindi si rivolgono alla «cupola» di al-Qa’ida per suggerimenti, armi, denaro, talora ricevendo addestramento in aree tribali del Pakistan o in Somalia. Infine, eseguono gli attentati autonomamente. Un tragico esempio di questi attentati «in franchising» è la strage di Beslan nell'Ossezia del Nord, in Russia, del 2 settembre 2004, l’«11 settembre dei bambini», con 334 morti di cui 186 appunto bambini.
 
I teatri principali dove opera il network di gruppi autonomi ispirati da al-Qa'ida sono Algeria, Yemen, Cecenia, Somalia, Kashmir - da cui vengono gli autori dell'attacco agli hotel di Bombay, in India, che dal 26 al 29 novembre 2008 fa 164 morti -, Filippine, Tailandia, Indonesia. In quest'ultimo Paese il 30 ottobre 2005 quattro allieve che si recano a una scuola cristiana a Poso, nell’isola di Sulawesi, cadono vittime di un’imboscata da parte di terroristi addestrati dal network di al-Qa’ida nelle Filippine. Alfita e Yarni, di 17 anni, e Theresia, di 15, sono decapitate. Noviana, 15 anni, si salva quasi miracolosamente. Questo orribile episodio è il primo attacco del network di al-Qa’ida giustificato come «pulizia religiosa» anti-cristiana.
 
Il network mostra la sua capacità di colpire anche in Europa, con gli attentati dell'11 marzo 2004 a Madrid (191 morti e 2.050 feriti) e del 7 luglio 2005 a Londra (52 morti e 700 feriti). Quello di Madrid è un riuscito attentato «elettorale», che - certo anche per gli errori del primo ministro di centro-destra spagnolo - a tre giorni dalle elezioni politiche ne rovescia il risultato, che sembrava già scritto a favore di José María Aznar, portando al potere il socialista José Rodríguez Zapatero, meno favorevole alla politica di guerra al terrorismo di Bush.
 
Già durante la vita di bin Laden, però, al-Qa’ida pensa a un superamento della seconda fase e alla propria trasformazione in una rete che coordina non solo gruppi terroristici ma anche forme di guerriglia legate a cause locali. L'obiettivo, molto ambizioso, è di controllare territori dove si formino «emirati», piccoli Stati con un proprio esercito, una polizia, una bandiera, talora anche una moneta, anche se ovviamene privi di riconoscimento internazionale.
 
Il primo esperimento è Al-Qa’ida nella Terra dei Due Fiumi (o Al-Qa’ida in Iraq, AQI). Si tratta, originariamente, di uno sviluppo del network: un gruppo sunnita pre-esistente, passato sotto il controllo del giordano Abu Musab al-Zarqawi (1966-2006), entra ufficialmente in al-Qa’ida nel 2004. Un terzo di tutti gli attentati in Iraq dopo l'intervento americano è opera di AQI, che fa circa trentamila morti. Ma il prezzo è altissimo. La strategia della «carta moschicida» del Segretario di Stato americano Condoleeza Rice attira consapevolmente in Iraq terroristi del network di al-Qa’ida da tutto il mondo, e oltre 15.000 sono uccisi.
 
Alla fine l’esperimento fallisce, perché Zarqawi non solo perde troppi uomini ma è incontrollabile, e le sue sistematiche uccisioni di sciiti danneggiano il delicato gioco diplomatico che al-Qa’ida persegue con la casa madre dell'islam sciita, l’Iran. Il 7 luglio 2006 Zarqawi è ucciso dagli americani. Benché Bin Laden e Zawahiri celebrino il «martire» e il «leone del jihad» in messaggi audio e video, molti pensano che sia stata la stessa al-Qa’ida a fare arrivare negli Stati Uniti le informazioni che hanno permesso di localizzare e uccidere l’ormai scomodo Zarqawi.
 
Ma il sogno di una «al-Qa'ida III», che controlli veri e propri staterelli ultra-fondamentalisti, non muore con Zarqawi e neppure con bin Laden, e oggi è perseguito dalla cupola di Al-Qa’ida che si trova ancora nelle aree tribali del Pakistan. È composta da Zawahiri, tuttora il capo supremo, dal suo vice anch'esso egiziano Saif al-Adel (Saiful Adil), dal portavoce kuwaitiano Sulaiman Abu Ghaith, e da Saad bin Laden, uno dei figli di Osama bin Laden. Né si deve dimenticare il rapporto, insieme religioso e politico, che questa cupola intrattiene con il mullah Omar, il capo dei talebani, che a sua volta non è mai stato catturato e non dispera di riprendere il controllo dell'Afghanistan dopo l'annunciato ritiro delle truppe occidentali.
 
Afghanistan a parte, al-Qa'ida dopo bin Laden appare articolata in quattro principali organizzazioni: Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (AQMI), Al-Qa’ida nella Penisola Arabica (AQAP), Al-Qa’ida in Palestina (AQP) e  Al-Qa’ida nell’Est Africa (AQEA). Ci sarebbe anche  Al-Qa’ida in Iraq (AQI), ma è ridotta ai minimi termini. Questi gruppi costituisco propriamente «al-Qa'ida III». Ciascuno mira a prendere il controllo di un territorio e a fondare un emirato.
 
Rimangono alleati nel network – ma non tecnicamente parte di questa al-Qa’idaversione III – i gruppi in Cecenia, Kashmir, Filippine, Indonesia, Tailandia. E alleati specialissimi sono i talebani afghani e i gruppi separatisti che operano nelle aree tribali del Pakistan, i quali nei progetti della cupola di al-Qa'ida dovrebbero - sotto la guida del mullah Omar - costituire nuovamente nei prossimi anni il più grande degli emirati ultra-fondamentalisti.
 
Esaminiamo brevemente le quatto principali articolazioni di al-Qa'ida, a partire da quella del Maghreb, AQMI. Nel 2003 Nabil Sarahoui (1964-2004) porta nel network di al-Qa’ida quanto rimane del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) algerino, gruppo un tempo molto potente ridotto a poca cosa dopo la sconfitta nella guerra civile e la durissima repressione governativa. Nel 2006 il successore di Sarahoui, che era stato ucciso nel 2004, Abu Musab Abdel Wadoud («Abdelmalek Droukdel»), entra in al-Qa’ida, e nel 2007 rinomina la sua fazione del GSPC «Al Qa’ida nel Maghreb Islamico», riorganizzandola con grande successo.
 
Al Qa’ida, come tutto l'ultra-fondamentalismo, è colto di sorpresa dalle «primavere arabe», che certamente non ha organizzato e che nascono originariamente da cause economiche. Un tentativo d’infiltrare la «primavera» tunisina fallisce. In Egitto la «primavera» porta al potere i Fratelli Musulmani, che all’interno del fondamentalismo islamico - che non è un fenomeno unitario, e conosce al suo interno divisioni e conflitti reali - sono i nemici giurati di al-Qa’ida, in quanto perseguono una via elettorale e politica al potere che è alternativa a quella militare di al-Qa'ida e prevede una certa misura, per quanto modesta, di dialogo con le minoranze religiose e con l'Occidente, un'eresia per l'organizzazione di bin Laden.
 
Al-Qa’ida riesce invece a giocare un ruolo dove la situazione resta più caotica e confusa: Yemen, Siria e soprattutto Libia. Il movimento di bin Laden nella sua storia ha sempre reclutato numerosi libici. Un caso esemplare è Abdelhakim Belhadj: è al fianco di bin Laden in Afghanistan, è arrestato dalla CIA in Malesia nel 2004 e consegnato alla Libia. È liberato nel 2010 e nominato dalle nuove autorità libiche governatore militare di Tripoli nell’agosto 2011, anche se nel maggio 2012 le proteste internazionali sui suoi legami con al-Qa’ida lo inducono a un passo indietro. Belhadj continua però a giocare un ruolo nella politica della nuova Libia, e Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico continua a essere attiva nella confusa situazione locale, come dimostra l'attentato all’ambasciata americana di Bengasi dell'11 settembre 2012, programmato da mesi e dunque non occasionale - come erroneamente sostenuto in un primo tempo dal presidente americano Obama - dalle proteste contro il film anti-musulmano realizzato da un gruppo di copti statunitensi.
 
La situazione in Libia ha poi offerto ad al-Qa'ida l'opportunità di costituire nel Mali quello che oggi è il maggiore dei suoi emirati. Fin dall’ epoca coloniale francese esistono nel Nord del Mali movimenti separatisti di etnia tuareg. Questi separatisti erano sia «dirottati» a combattere nell'esercito libico come mercenari, sia repressi con pugno di ferro dagli interventi di Muammar Gheddafi (1942-2011), le cui truppe sconfinavano volentieri in Mali. Dopo la caduta di Gheddafi, i separatisti s’impadroniscono del Nord del Mali - la cui capitale è Timbuctù - e il 6 aprile 2012 lo dichiarano indipendente con il nome di Azawad. La guerra continua fra separatisti laico-nazionalisti (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) e separatisti ultra-fondamentalisti islamici (Ansar Eddin). Gli ultimi vincono quando un massiccio contingente di Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico interviene ad aiutarli, e finisce per impadronirsi del Paese.
 
Dopo l’Afghanistan al-Qa’ida ha nuovamente un «suo» Stato - sia pure non riconosciuto internazionalmente - da cui organizzare guerriglie e attentati. È il primo emirato di al-Qa'ida III, contro cui per ora non si è riusciti a organizzare un intervento armato panafricano, nonostante gli sforzi di Francia e Stati Uniti.
 
Nel frattempo, un secondo emirato si è costituito nello Yemen, dove varie zone del Paese non sono più controllate dal governo centrale ma da al-Qa'ida. Anwar al-Awlaki (1971-2011), figlio di un ministro yemenita ed educato negli Stati Uniti, è alle origini di Al-Qa’ida in Yemen (AQI). Nel 2006 Awlaki fa evadere da una prigione yemenita ventiquattro leader di al-Qa’ida tra cui il segretario di Bin Laden, Nasir al-Wuhayshi. Separata dall'organizzazione yemenita e attiva soprattutto in Arabia Saudita, Al-Qa'ida nella Penisola Arabica (AQAP) è guidata negli stessi anni dal saudita Said al-Shihri, catturato nel 2001 e detenuto a Guantanamo. Nel 2007 è inviato in Arabia Saudita per una «rieducazione», ma fugge nello Yemen. Nel 2009 un video di Zawahiri annuncia la fusione di AQI in AQAP, con Awlaki come leader.
 
La più «binladeniana» delle filiali di al-Qa’ida, AQAP è convinta di dover tornare agli attacchi in Occidente. Il 1º giugno 2009 esordisce con l' attentato all’ufficio di reclutamento di Little Rock (Arkansas) da parte di Abdulhakim Mujahid Muhammad, un americano convertito all’islam, che si conclude con una sola vittima. il 5 novembre 2009 il maggiore psichiatra Nidal Malik Hasan apre improvvisamente il fuoco a Fort Hood (Texas), il più grande centro dell’esercito americano, e fa tredici morti. Il giorno di Natale del 2009 il terrorista nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab è fermato all’ultimo momento mentre sta per far saltare il volo Northwest 253 fra Amsterdam e Detroit.

Identificato come organizzatore di tutti questi attentati – mentre ne pianifica altri in Europa –, Awlaki è ucciso da un drone americano il 30 settembre 2011 nel Nord dello Yemen. La morte di Awlaki, definito dalla CIA «il più pericoloso ideologo del mondo» è un grande colpo per al-Qa’ida. Gli succede l’ex-segretario di Bin Laden, Wuhayshi, con Shihri come vice. Shihri è stato forse ucciso nel settembre 2012 nello Yemen, ma l’esame dei resti non ha permesso di esserne sicuri. Quanto a Wuhayshi, sembra più concentrato sulla costruzione di un emirato nello Yemen che sugli attentati in Occidente. Tra i suoi collaboratori c'è però quell'Ibrahim al-Asiri, saudita, che gli americani hanno in testa alla loro lista di ricercati e che considerano il più pericoloso costruttore di sofisticati ordigni esplosivi del mondo.

C'è un terzo emirato - dopo quelli del Mali e dello Yemen - che Al-Qa'ida in Palestina (AQP) ha annunciato di avere costituito nel Sinai. Questo emirato esiste, nel deserto ma non troppo lontano dal paradiso dei turisti italiani a Sharm el Sheikh, ma non è chiaro se lo controlli al-Qa'ida o tribù di beduini che non accettano nessuna autorità superiore. Secondo la lezione originaria di Azzam, al-Qa’ida non ha mai considerato la Palestina «la» causa ma «una» causa. Apre un ufficio a Gaza nel 2002, ma ha scarso successo perché il terreno ultra-fondamentalista lì è già occupato da Hamas. Quando però nel 2006 Hamas inizia a governare Gaza, alcuni la accusano di essersi «imborghesita» e di avere abbandonato il terrorismo per il governo e l’amministrazione.
 
Si apre così uno spazio per Al Qa’ida in Palestina che cerca di federare, con difficoltà, i vari e rissosi gruppi anti-Hamas. Il principale è Jaysh al-Islam («Esercito dell’Islam»); un altro, Tawhid wa al-Jihad («Monoteismo e Jihad»), uccide il 15 aprile 2011 l’attivista anti-israeliano italiano Vittorio Arrigoni (1975-2011). Il capo di Tawhid wa al-Jihad, Abu Walid al-Magdisi (1969-2012), arrestato dopo l’omicidio Arrigoni ma liberato il 3 agosto 2012, diventa il capo di AQP e l’organizzatore degli attentati dell’agosto 2012 nel Sinai, con sedici militari egiziani morti. La durissima repressione da parte del governo egiziano, che continua con l'attuale presidente Morsi, mostra la realtà dello scontro fra i Fratelli Musulmani e al-Qa’ida, in un ambiguo rapporto con Israele, che il 13 ottobre 2012 uccide Magdisi in un raid aereo. Dopo la sua morte sembra crescere il peso di leader tribali del Sinai, che controllano in effetti un loro territorio ma i cui rapporti con al-Qa'ida non sono del tutto chiari.
 
Un quarto emirato di al-Qa'ida si trova in territorio somalo ed è legato ad al-Shabaab («Movimento della gioventù combattente»), un gruppo che rappresenta la fazione più radicale delle Corti Islamiche, le quali nel loro complesso controllano gran parte della Somalia. Nel 2010 al-Shabaab si dichiara parte di al-Qa’ida. Nel febbraio 2012, però, al-Shabaab si divide in due gruppi rivali, e una fazione prende il nome di Al-Qa’ida nell’Est Africa (AQEA). Sembra che bin Laden non si fidasse del leader storico Moktar Ali Zubeyr «Godane», e avesse cercato di sostituirlo, ma che Zawahiri lo abbia rimesso al suo posto.
 
Nel mese di maggio 2012 è stipulato un patto di coordinamento fra Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico, Al-Qaida nell’Africa dell’Est e un movimento che non fa parte di al-Qa’ida, il nigeriano Boko Haram. Per la prima volta l’obiettivo esplicitamente indicato è la «pulizia religiosa»: l’eliminazione dei cristiani dalle aree a maggioranza islamica dell’Africa subsahariana.
 
Boko Haram («La cultura occidentale è impura») è fondato nel 2001 in Nigeria da Mohammed Yusuf (1970-2009). Dopo la morte (sospetta) di Yusuf in carcere nel 2009, passa al terrorismo. L'obiettivo è eliminare a suon di bombe i cristiani che vivono nel Nord della Nigeria a maggioranza islamica, mentre il Sud del Paese ha una maggioranza cristiana. Oltre diecimila cristiani sono uccisi in Nigeria dal 2001 al 2012. Benché Boko Haram sia un grande movimento, una cui ala vorrebbe ora aprire un dialogo con il governo nigeriano, la sua componente più radicale appare sempre più legata ad al-Qa'ida, e conduce una guerra senza quartiere contro i cristiani.
 
Da qualche anno in effetti il cristianesimo (46,53%) ha superato l’islam (40,46%) nel continente africano, e ha una salda maggioranza a Sud del Sahara. Questa situazione è intollerabile per l’islam ultra-fondamentalista. Di qui la popolarità della causa della «pulizia religiosa» dei cristiani, che al-Qa’ida – dagli «emirati» in Somalia e in Mali, dove anche Boko Haram può rifornirsi di armi e di odio ideologico – cerca di egemonizzare e organizzare.
 
«Non ci sono cristiani in Somalia, ci sono solo apostati. Un musulmano non può diventare cristiano: può solo diventare apostata. Non c'è posto per gli apostati in Somalia: non riconosciamo loro il diritto di esistere, solo quello di morire, e li uccideremo tutti». Queste parole di Nur Barud, esponente di Al-Qa’ida in Est Africa, riassumono il programma di persecuzione dei cristiani che è diventato un marchio di fabbrica di al-Qa'ida III.
 
Benedetto XVI ha scritto nella sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente del 14 settembre 2012 che «le incertezze economico- politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro, costituiscono la base del fondamentalismo religioso». «Esso vuole prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche». «Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche […] o le nostre violenze, è un gravissimo errore». Occorre dunque, conclude il Papa, «sradicare questa minaccia».
 
Ma «sradicare» il movimento più pericoloso del terrorismo ultra-fondamentalista, al-Qa'ida, una volta che ha preso il controllo d'interi territori con i suoi emirati - nel Mali, nello Yemen, nel Sinai, in Somalia, senza contare i suoi alleati talebani che controllano buona parte dell'Afghanistan - significa strappargli questi territori. Questo implicherebbe azioni militari che, nell'attuale situazione economica e politica, l'Occidente è molto riluttante a intraprendere. Al-Qa'ida lo sa e, forte dei suoi «emirati», non è mai stata tanto potente come lo è oggi. A farne le spese sono soprattutto le minoranze cristiane.