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EDITORIALE

Al Cairo l'eco della lezione di Ratisbona

C'è molto di Benedetto XVI nel discorso di Papa Francesco pronunciato all'università al Azhar. Riflette chiaramente il giudizio elaborato da Ratzinger, che vede la pericolosità del confronto tra Stati laicisti e Stati islamici. Una novità interessante che merita ulteriore approfondimento.

Editoriali 01_05_2017
papa e imam di al Azhar

Abbiamo già pubblicato un bilancio dell’importante visita di papa Francesco in Egitto e delle ripercussioni che sta già avendo, soprattutto in chiave ecumenica. Vale la pena aggiungere qualche altra considerazione su alcuni aspetti della visita ma anche sulle dichiarazioni sul volo di ritorno a Roma.

Anzitutto il discorso ad al Azhar, che ha colpito anche nel mondo arabo soprattutto messo a confronto con quello del rettore dell’università sunnita, Ahmad Al-Tayyeb, più preoccupato di difendere una certa ideologia islamica. Come è stato rilevato, l’intervento di papa Francesco è andato anche oltre il previsto, ma è interessante notare – e questa è una novità – che quell’andare oltre è legato all’assunzione dei criteri di giudizio di Benedetto XVI. Criteri che erano stati dettagliatamente spiegati nella famosa lezione di Ratisbona e che sono stati riproposti dallo stesso Benedetto XVI molto sinteticamente nel messaggio inviato pochi giorni fa ai partecipanti a un simposio in Polonia.

Al concetto di violenza contrario alla natura di Dio – fulcro della riflessione di Ratisbona - era ispirato un po’ tutto il discorso di papa Francesco, che poi è arrivato a parlare di «pericoloso paradosso», notando che «da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica». 

È la traduzione della «situazione esplosiva» di cui parlava Benedetto XVI nel citato messaggio, riferendosi al «confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici».

Al “messaggio dell’incontro” dunque – che già da solo ha avuto un forte impatto – papa Francesco ha aggiunto per l’occasione dei contenuti che riprendono quella lezione del suo predecessore, che non aveva mai fatto mistero di non amare.

Una seconda notazione riguarda – ancora una volta – chi si occupa di comunicazione in Vaticano. Ci si chiede infatti a cosa serva un portavoce o un responsabile della comunicazione se poi ogni volta che c’è una conferenza stampa in aereo – e non solo - si debba sempre temere “incidenti” che oscurano i viaggi appena fatti. Sicuramente è volontà del Papa comunicare direttamente senza alcun filtro, senza neanche domande ricevute prima in modo da prepararsi, però sta anche a chi gli è intorno – ed è pagato per questo - consigliare e indirizzare. Le risposte estemporanee possono giovare alla popolarità, però sono un rischio notevole non solo per la credibilità del Papa ma anche per la Chiesa se contribuiscono a confondere tra Magistero e libere opinioni. Ad esempio, la questione dei centri per migranti che sarebbero campi di concentramento, ripetuta nel giro di pochi giorni, non fa onore a chi lo afferma. Certo, papa Francesco può contare su una stampa laica generalmente adulatrice, che tratta anche le ovvietà come fossero pensiero distillato. Ma, ammesso che ciò sia positivo, sarebbe comunque meglio non darlo troppo per scontato.