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AFGHANISTAN

Afghanistan, i Talebani attaccano prima di trattare

Attentato talebano contro una base dell’intelligence di Kabul nella provincia centrale di Maidan Wardak. Almeno 65 i militari uccisi. Gli attacchi talebani aumentano dopo l'annuncio del parziale ritiro degli Usa dall'Afghanistan e della trattativa di pace fra insorti e statunitensi. Colpiscono duro per avere una posizione di forza nel negoziato.

Esteri 23_01_2019
Afghanistan, la base colpita nella provincia di Maidan Wardak

Non è ancora definitivo il bilancio dell’attacco talebano di lunedì contro una base della Direzione nazionale della sicurezza (l’intelligence di Kabul) nella provincia centrale di Maidan Wardak, ma sono almeno 65 i militari rimasti uccisi.

Lo ha riferito Mohammad Sardar Bakhyari, vice capo del consiglio provinciale, che ha riferito di "65 corpi estratti dalle macerie". Un funzionario della sicurezza che ha preferito restare anonimo ha parlato invece di almeno 70 morti. Nella serata di martedì fonti del ministero della Difesa avevano parlato di 100 vittime dell’attacco suicida effettuato da un commando talebano infiltratisi nella base dopo aver fatto deflagrare un’autobomba schiantatasi contro l’edificio mentre un'altra autobomba è stata fermata dal fuoco dei militari afghani. 

Interpretata da molti come un evidente simbolo della recrudescenza degli attacchi jihadisti dopo l’annuncio della Casa Bianca che le truppe statunitensi in Afghanistan verranno presto dimezzate, l’attacco potrebbe essere anche messo in relazione all’annuncio di ieri con cui i talebani hanno reso nota la ripresa dei colloqui, a Doha in Qatar, con i funzionari americani per porre fine a 17 anni di guerra. "Dopo che gli americani hanno accettato di porre fine all'occupazione dell'Afghanistan e di impedire l'uso del Paese per operazioni future contro altri Stati, i colloqui con i rappresentanti americani si sono svolti oggi a Doha, la capitale del Qatar", ha dichiarato il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid. L'incontro, che arriva dopo i colloqui di dicembre scorso negli Emirati Arabi Uniti non è stato confermato da Washington ma aggiunge un nuovo elemento di riflessione al dibattito sul ritiro parziale ordinato da Donald Trump.

Se verrà confermato quanto dichiarato dai talebani la riduzione da 15mila a 7.500 militari del contingente americano potrebbe costituire un banco di prova per un accordo con gli insorti in cui gli USA (e inevitabilmente anche gli alleati europei e Nato che schierano a Kabul 8.500 militari) si ritirano gradualmente dal paese in cambio dell’impegno talebano a non “esportare” il jihad fuori dai confini afghani. Fenomeno che peraltro si è già concretizzato con le infiltrazioni talebane in Tagikistan e più recentemente in Turkmenistan, dove gli sconfinamenti delle milizie jihadiste allarmano anche la Russia che teme la destabilizzazione delle repubbliche asiatiche ex sovietiche.

La strage a Maidan Wardak avrebbe quindi lo scopo di garantire ai talebani di negoziare da una posizione di forza dimostrando la capacità di colpire duramente le forze di sicurezza governative. Del resto già in passato sono state prese di mira basi e centri di addestramento per scoraggiare i giovani afghani ad arruolarsi e favorire le diserzioni il cui numero elevato già affligge le forze di sicurezza di Kabul il cui futuro si prospetta oscuro. Come accade da dopo il ritiro voluto da Barack Obama delle forze da combattimento Usa e Nato, tra il 2011 e il 2014, gli insorti puntano a colpire duramente le forze governative sempre più demotivate, prive di mezzi e armi pesanti e provate da perdite di centinaia di uomini uccisi o feriti ogni mese in battaglia e attacchi terroristici.

Oggi i talebani hanno il controllo di poco più della metà del territorio nazionale, per lo più aree rurali, ma l’imminente ridimensionamento della presenza statunitense indebolirà ulteriormente i reparti di Kabul mettendo a rischio anche i centri urbani